Una delle prove lampanti dell’esistenza di buchi neri supermassicci al centro di una galassia è la cosiddetta spaghettificazione. Quando una stella si avvicina troppo al buco nero, le intense forze mareali associate al campo gravitazionale del buco nero la stirano e la riducono a sottili filamenti, degli spaghetti appunto, distruggendola. Il fenomeno è stato osservato per la prima volta nel 2019 contemporaneamente nei raggi X e nel visibile, nel cuore di una galassia a 215 milioni di anni luce da noi. L’evento è stato chiamato AT2019qiz, e ora per la prima volta la geometria di quanto accaduto è stata ricostruita grazie allo studio della luce polarizzata. I risultati sono stati pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Le osservazioni sono state effettuate durante il picco dell’evento e a un mese di distanza al telescopio Shane di 3 metri dell’Osservatorio Lick, vicino a San Jose, in California, dotato dello spettrografo Kast, uno strumento in grado di determinare la polarizzazione della luce nell’intero spettro ottico. La luce diventa polarizzata – vale a dire, il suo campo elettrico vibra principalmente in una direzione – quando viene dispersa dagli elettroni nella nube di gas. I primi dati, al picco dell’evento dell’8 ottobre 2019, suggeriscono che gran parte del materiale della stella sia stato spazzato via ad alta velocità – fino a 10mila chilometri al secondo – e abbia formato una nube sferica di gas che ha bloccato la maggior parte delle emissioni ad alta energia prodotte quando il buco nero ha divorato il resto della stella.
In precedenza, altre osservazioni della luce ottica proveniente dall’esplosione avevano rivelato che gran parte della materia della stella era stata lanciata verso l’esterno in un potente vento. Ma i nuovi dati sulla polarizzazione della luce, che era essenzialmente nulla alle lunghezze d’onda visibili o ottiche quando l’evento era al massimo della sua luminosità, indicano agli astronomi che la nube era probabilmente a simmetria sferica. La seconda serie di osservazioni è stata effettuata il 6 novembre, 29 giorni dopo l’osservazione di ottobre, e ha rivelato che la luce era leggermente polarizzata, circa l’un per cento: ciò suggerisce che la nube si era assottigliata abbastanza da rivelare la struttura asimmetrica del gas attorno al buco nero.
Il processo di distruzione della stella, per come sono riusciti a ricostruirlo gli astronomi grazie alla polarizzazione, è in grado di spiegare anche come mai non si vede l’emissione a raggi X proveniente dal materiale eiettato nello spazio ad alta energia mentre la stella viene distrutta. Durante l’evento di distruzione mareale, parte della materia della stella vortica intorno al buco nero, come l’acqua in uno scarico, emettendo nei raggi X. Una frazione significativa del gas della stella, però, viene anche spinta verso l’esterno dagli intensi venti del buco nero, creando in alcuni casi una nube che oscura il disco di accrescimento.
«Il disco di accrescimento stesso è abbastanza caldo da emettere la maggior parte della sua luce nei raggi X, ma questa luce deve passare attraverso questa nube e ci sono molte dispersioni, assorbimenti e riemissioni di luce prima che possa uscire da questa nube», spiega Kishore Patra studente della Uc Berkeley e primo autore dello studio. «In ognuno di questi processi, la luce perde parte della sua energia fotonica, scendendo fino alle energie ultraviolette e ottiche. La dispersione finale determina lo stato di polarizzazione del fotone. Quindi, misurando la polarizzazione, possiamo dedurre la geometria della superficie dove avviene la dispersione finale».
Nel caso di AT2019qiz, la polarizzazione nulla trovata nell’intero spettro in ottobre indica che la nube di gas aveva inizialmente una simmetria sferica: tutti i fotoni polarizzati si bilanciavano a vicenda. La leggera polarizzazione delle misure di novembre, invece, indica una piccola asimmetria. I ricercatori hanno calcolato che la luce polarizzata è stata emessa dalla superficie di una nube sferica con un raggio di circa 100 unità astronomiche (au), 100 volte più lontana dalla stella di quanto lo sia la Terra dal Sole. Un bagliore ottico di gas caldo proveniva da una regione a circa 30 au.
«Questi eventi di perturbazione sono così lontani che non è possibile risolverli, quindi non è possibile studiare la geometria dell’evento o la struttura di queste esplosioni», dice Alex Filippenko, professore alla Uc Berkekley e coautore dell’articolo. «Ma lo studio della luce polarizzata ci aiuta a dedurre alcune informazioni sulla distribuzione della materia nell’esplosione o, in questo caso, sulla forma del gas – ed eventualmente del disco di accrescimento – intorno a questo buco nero».
Per saperne di più:
Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Spectropolarimetry of the tidal disruption event AT 2019qiz: a quasispherical reprocessing layer”, di Kishore C. Patra, Wenbin Lu, Thomas G. Brink, Yi Yang, Alexei V. Filippenko e Sergiy S. Vasylyev