È stato un esperimento “indoeuropeo” nel senso geografico del termine, quello condotto il 14 febbraio scorso – e replicato poi sette giorni dopo – dai radioastronomi della European Vlbi Network (Evn) e del Giant Metrewave Radio Telescope (Gmrt) indiano. Un esperimento d’interferometria, e in particolare di interferometria a lunghissima base (Vlbi, dall’inglese very-long-baseline interferometry): una tecnica osservativa che prevede l’impiego coordinato di più radiotelescopi orientati simultaneamente verso una stessa sorgente. Combinando i segnali così acquisiti, si riescono a ottenere immagini con una risoluzione paragonabile a quella che si raggiungerebbe con un’unica antenna di diametro pari alla distanza – la cosiddetta linea base – fra i telescopi coinvolti. Nel caso di questo esperimento, un’antenna “sintetica” con una linea base di seimila km.
Ecco così che nel febbraio scorso le antenne di cinque radiotelescopi della rete europea Evn – quello di Westerbork nei Paesi Bassi, quello di Onsala in Svezia, quello di Zelenchukskaya in Russia e due qui in Italia, dell’Istituto nazionale di astrofisica, a Medicina e a Noto – e le dieci antenne del Gmrt a Pune, in India, hanno ricevuto l’ordine di voltarsi verso la costellazione di Pegaso e puntare un oggetto ben noto agli astronomi: il lontanissimo e luminosissimo quasar 3C454.3. Un blazar, per la precisione, essendo il suo potente getto orientato verso la Terra.
A certificare il successo dell’esperimento, ovvero la riuscita combinazione dei dati dalle diverse antenne, è stata anzitutto la comparsa delle caratteristiche frange d’interferenza – non a caso questo tipo di osservazioni è chiamato fringe test (dall’inglese fringe, frangia).
Ma c’è di più: grazie all’estensione a dimensioni intercontinentali della rete, e dunque della baseline, è stato possibile mappare 3C454.3 come mai prima. Trovandosi a oltre dodici miliardi di anni luce dalla Terra, infatti, nemmeno un radiotelescopio “grande quanto l’Europa” – qual è appunto quello che può emulare la rete Evn – è mai riuscito a distinguerne i dettagli. Con l’aggiunta delle antenne indiane, però, tutto è cambiato: la risoluzione ha raggiunto i 3-10 millisecondi d’arco, e la struttura di 3C454.3 è stata così almeno in parte “risolta” – come dicono gli astronomi per indicare che è stato possibile distinguere alcune sue caratteristiche (vedi grafici a fianco).
«L’immagine di 3C454.3 ottenuta con la sola rete Evn», ricorda infatti Preeti Kharb, astronoma del National Centre for Radio Astrophysics indiano, «mostra un’unica fonte di emissione radio irrisolta. L’immagine Evn+Gmrt, invece, risolve questa compatta sorgente radio in una struttura core-jet con il getto radio rivolto verso ovest (nel cielo) – nell’immagine che comprende anche i dati di Gmrt si presenta come una leggera estensione dei contorni verso l’angolo in alto a destra. Un risultato che mette chiaramente in evidenza l’importanza del Gmrt in questo tipo d’esperimenti Vlbi».
«Il fringe test tra Gmrt e le nostre antenne è stato un grande successo e un risultato molto importante. Avere il Gmrt nella rete Vlbi rappresenta davvero un grande miglioramento della rete stessa», conferma Tiziana Venturi, direttrice dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf e chair del consorzio Evn.
«Siamo orgogliosi di aver partecipato ai test di validazione», aggiungono i tecnici delle due antenne italiane coinvolte nel test, Giuseppe Maccaferri per quella di Medicina Salvo Buttaccio per quella di Noto, «e confidiamo che l’entrata in rete di un telescopio così sensibile aumenti ulteriormente il valore della tecnica Vlbi del network europeo portando sempre più importanti risultati scientifici».
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