Zeta Ophiuchi è una stella di sequenza principale di classe spettrale O che si trova a circa 440 anni luce di distanza da noi. Sei volte più calda, otto volte più grande e venti volte più massiccia del Sole, la sua magnitudine apparente di 2.57 – un parametro che misura la luminosità delle stelle così come appaiono viste dalla superficie terrestre – ne fa la terza stella più brillante della costellazione dell’Ofiuco.
È una giovane stella – la sua età stimata è di “soli” tre milioni di anni – ma ha un passato abbastanza complicato, essendo stata espulsa dal suo luogo di nascita da una potente esplosione stellare: precedenti osservazioni suggeriscono infatti che un tempo la stella avesse una compagna, attorno alla quale girava in orbita ravvicinata prima di essere spazzata via, a circa 24 chilometri al secondo, quando la compagna, giunta ormai a fine vita, è esplosa come supernova – più di un milione di anni fa.
Stelle fuggitive (runaway stars in inglese), così gli astronomi chiamano le stelle che sono andate incontro a questa sorte. Zeta Ophiuchi è dunque una sorta scheggia impazzita che attraversa la galassia come un proiettile. Le osservazioni della stella e dei suoi dintorni alle lunghezze d’onda dell’ottico, dell’infrarosso, del radio e dell’X – condotte rispettivamente dai telescopi Panstarrs, Spitzer Space Telescope, Vla e Chandra – hanno ora permesso di ottenere una nuova immagine composita dell’astro. La maestosa struttura a forma di arco che vediamo al centro è una spettacolare onda d’urto (bow shock in inglese) prodotta dalla stella mentre sfreccia a velocità supersonica nel gas e nella polvere interstellare, che vengono a loro volta riscaldati dal vento stellare emesso dalla stella – il puntino luminoso subito a destra e al centro della struttura – nell’infrarosso, la luce captata da Spitzer.
La nube blu intorno alla stella è invece una bolla interstellare: gas che, riscaldato a decine di milioni di gradi dall’onda d’urto, emette nell’X. A rilevarla è stato il telescopio Chandra, sensibile a queste lunghezze d’onda. Proprio utilizzando i dati d’archivio di Chandra, un team di astronomi guidati dal Dublin Institute for Advanced Studies (Dias) ha messo a punto i primi modelli magnetoidrodinamici dettagliati di questa onda d’urto e della bolla a essa associata, per verificare se un semplice modello potesse spiegare i dati ottenuti alle diverse lunghezze d’onda, comprese quelle dell’ottico e del radio, e aiutare gli astronomi a comprendere meglio la storia presente e passata di questa stella. L’articolo che descrive i modelli, in uscita su Astronomy & Astrophysics, è consultabile come preprint su ArXiv.
Dando in pasto a diversi codici una gamma di parametri stellari e del mezzo interstellare prodotti da precedenti osservazioni, i ricercatori hanno ottenuto tre modelli magnetoidrodinamici – Z01, Z02 e Z03 – che hanno infine utilizzato per simulare l’interazione del vento stellare con il mezzo e stimare l’emissione della bolla e dell’onda d’urto nell’infrarosso, nell’X a energie più basse (soft X rays) e nel radio (a 6 GHz), producendone le relative mappe.
Il modello Z01, spiegano i ricercatori, mostra un’intensità dell’emissione infrarossa e una distanza della stella dall’onda d’urto paragonabile alle osservazioni, sebbene l’angolo di apertura dell’onda fosse troppo piccolo. Nelle mappe di emissione simulata di raggi X la maggior parte dell’emissione si verifica all’apice di una struttura che non ha la forma di una bolla bensì di un arco, in corrispondenza della discontinuità di contatto stella-onda d’urto; una regione di emissione non evidente nelle osservazioni. L’emissione X è inoltre significativamente più debole rispetto a quella nelle osservazioni di Chandra.
Il modello Z02 ha proprietà simili alla simulazione Z01 ma si adatta leggermente meglio ai dati osservazionali: l’angolo di apertura dell’onda d’urto è più vicino a quello dedotto dalle osservazioni nell’infrarosso e la morfologia dell’emissione di raggi X è più simile a quella di una bolla piena piuttosto che a un arco. Anche in questo, tuttavia, il flusso totale di raggi X diffusi è ben al di sotto di quello dedotto dalle osservazioni.
Il modello Z03, infine, mostra una elevata densità totale in tutte le parti dell’onda d’urto. L’emissione di raggi X è simile a quella osservata, ma resta comunque due volte più intensa, anche se il fattore 2 forse non è così significativo, sottolineano gli autori dello studio.
L’onda d’urto prodotta da Zeta Ophiuchi è la struttura più vicina alla Terra nella quale sia possibile studiare le bolle di emissione e i processi dissipativi del vento di una stella massiccia, e come tale è un laboratorio ideale per vincolare i processi fisici coinvolti, concludono i ricercatori. Questo primo studio non fornisce risposte semplici alle domande aperte circa questi meccanismi, ma può essere utilizzato come base per costruire modelli più complicati, volti a studiare gli effetti della turbolenza e dell’accelerazione delle particelle, per meglio comprendere il presente ma anche il passato di questa stella in fuga.
Per saperne di più:
- Leggi su ArXiv il preprint dell’articolo “Thermal emission from bow shocks II: 3D magnetohydrodynamic models of Zeta Ophiuchi” di S. Green, J. Mackey, P. Kavanagh, T. J. Haworth, M. Moutzouri e V. V. Gvaramdaze