Mai successo di dover fare un viaggio con lo sportello dell’auto che non si chiude bene? È come minimo una grossa seccatura, soprattutto se il tragitto è lungo e con molte curve. Immaginate dunque come devono essersela vista brutta i responsabili della missione Lucy della Nasa – partita il 16 ottobre 2021 per un viaggio lungo 12 anni e oltre 6 miliardi di km facendo slalom fra otto asteroidi – quando si sono accorti, a poche ore dal lancio, che uno dei due pannelli solari circolari da 7.3 metri di diametro non si era del tutto dispiegato. Avrebbero dovuto aprirsi come un ventaglio – a 360 gradi – e poi bloccarsi in posizione. Ma ad arrivare in fondo è stato soltanto uno dei due: l’altro si è inceppato nell’ultimo quarto del movimento, fra il 75 e il 95 per cento.
Che fare? Se lo sono chiesti a lungo, i tecnici della Nasa. Lasciare le cose com’erano, sperando che la situazione non degenerasse e che l’efficienza dei pannelli fosse comunque sufficiente a garantire l’energia richiesta dalla navicella e da tutti gli strumenti di bordo? O tentare di “forzarlo”, magari riaprendolo un po’ per poi richiuderlo – proprio come faremmo con lo sportello dell’auto – correndo però il rischio di peggiorare la situazione?
Una decisione difficile. Soprattutto in assenza di informazioni cruciali, come la percentuale esatta del dispiegamento e la ragione dell’interruzione. Avendo solo il tempo dalla loro parte – la sonda infatti stava viaggiando tranquilla a velocità di crociera – gli ingegneri della missione hanno anzitutto messo a punto modelli al computer dell’intera navicella, nonché una replica esatta di tutto il sistema meccanico, così da poter riprodurre il problema in laboratorio e verificare le conseguenze dei comandi prima di inviarli nello spazio.
Nel frattempo, pian piano si sono convinti d’aver individuato il responsabile del blocco: un cordino progettato per aprire l’enorme pannello solare di Lucy si era probabilmente attorcigliato nel rocchetto. Forse per sbrogliarlo è sufficiente forzarlo un po’, si sono detti. Già, ma come? Qui l’ingegno è venuto in aiuto: poiché il motore d’apertura – come quasi tutti i componenti critici di una navicella spaziale – è ridondato, nel senso che ce n’è anche uno di backup, forse attivandoli entrambi la forza esercitata sarebbe stata sufficiente a vincere la resistenza e a far dispiegare del tutto il pannello.
Dopo mesi di simulazioni e test, la Nasa ha deciso che valeva la pena tentare, seppure con grande prudenza e un passo alla volta. Ecco così che in sette occasioni, nel maggio e giugno scorsi, il team ha inviato alla navicella spaziale il comando che azionava contemporaneamente entrambi i motori – sia quello primario che quello di backup – per il dispiegamento del pannello solare.
E il pannello in effetti si è mosso. Non fino in fondo, dunque non fino a bloccarsi in posizione. Ma le stime dicono che sia ora aperto con un angolo compreso fra i 353 e i 357 gradi – dunque all’estensione completa gli mancherebbero non più di 7 gradi su 360, meno del due per cento. Quanto basta per garantire che la produzione di energia sarà sufficiente anche quando Lucy avrà raggiunto l’orbita di Giove, dove si trovano gli asteroidi che dovrà studiare. E in ogni caso per ora basta così, almeno fino al prossimo 16 ottobre, quando Lucy riemergerà dal “cono d’ombra” in cui si trova per quanto riguarda le comunicazioni con la Terra, visto che fino a quella data potrà essere usata solo l’antenna a basso guadagno.
Guarda il video della Nasa (in inglese):