Nel gennaio 2019, la sonda Osiris-Rex della Nasa ha inviato immagini di un fenomeno geologico che nessuno aveva mai visto prima: pietre scagliate nello spazio direttamente dalla superficie dell’asteroide Bennu. Sono stati proposti diversi meccanismi fisici in grado di espellere pietre dalla superficie di un asteroide e gli autori di un articolo pubblicato nello stesso anno li hanno passati in rassegna tutti, arrivando a proporne tre quali più probabili nel caso di Bennu: lo stress termico, la disidratazione dei fillosilicati e la caduta di piccoli meteoroidi. Ora, un nuovo studio pubblicato su Nature Astronomy mostra la prima probabile evidenza di un fenomeno di questo tipo in un meteorite.
«È affascinante vedere qualcosa che è stato appena scoperto da una missione spaziale su un asteroide a milioni di chilometri di distanza dalla Terra e trovare una traccia dello stesso processo geologico nella collezione di meteoriti del museo», dice Philipp Heck, curatore del Robert A. Pritzker Center for Meteoritics and Polar Studies al Field Museum di Chicago.
I meteoriti sono pezzi di roccia che cadono sulla Terra dallo spazio; possono essere costituiti da pezzi di lune e pianeti, ma il più delle volte sono frammenti di asteroidi. Il meteorite di Aguas Zarcas prende il nome dalla città costaricana dove cadde nel 2019; è arrivato al Field Museum come donazione di Terry e Gail Boudreaux. Heck e il suo studente, Xin Yang dell’Università di Chicago, primo autore dell’articolo, stavano preparando il meteorite per un altro studio quando notarono qualcosa di strano. «Stavamo cercando di isolare minerali molto piccoli dal meteorite congelandolo con azoto liquido e scongelandolo con acqua calda, per romperlo», racconta Yang. «Funziona per la maggior parte dei meteoriti, ma questo era un po’ strano: abbiamo trovato dei frammenti compatti che non si rompevano».
Non è raro trovare frammenti di meteorite che non si disintegrano. In questo caso gli scienziati solitamente si armano di mortaio e pestello. Invece, non volendo ridurlo in sabbia, i ricercatori hanno escogitato un modo per capire cosa fossero questi ciottoli e perché erano così resistenti alla rottura. «Abbiamo eseguito scansioni con la tomografia computerizzata per vedere com’erano i ciottoli rispetto alle altre rocce che compongono il meteorite», spiega Heck. «Quello che colpisce è che queste componenti erano tutte schiacciate (normalmente i ciottoli sarebbero sferici) e avevano tutte lo stesso orientamento. Erano tutte deformate nella stessa direzione, da un processo. Era evidente che fosse successo qualcosa ai ciottoli, che non aveva interessato il resto della roccia intorno a loro».
Ed ecco che, dai risultati di Osiris-Rex del 2019, gli scienziati hanno avuto un’idea. Hanno quindi formulato un’ipotesi, che sono riusciti a supportare con modelli fisici. Secondo gli autori, l’asteroide deve aver subito una collisione ad alta velocità e l’area dell’impatto si è deformata. Quella roccia deformata alla fine si è rotta a causa delle enormi differenze di temperatura che l’asteroide subisce quando ruota, poiché il lato rivolto verso il Sole è più caldo di 150 gradi rispetto al lato rivolto verso l’esterno. Secondo Heck, questo ciclo termico costante rende la roccia fragile e fa sì che si rompa in ciottoli, come ghiaia, che vengono espulsi dalla superficie dell’asteroide.
I ricercatori non sanno ancora quale sia il processo che espelle i ciottoli, che potrebbero essere spostati da impatti minori in altre collisioni spaziali, oppure potrebbero essere rilasciati dallo stress termico a cui è sottoposto l’asteroide. Ma una volta che i sassolini vengono disturbati, dice Heck, «non serve molto per espellere qualcosa: la velocità di fuga è molto bassa».
Un recente studio di Bennu ha rivelato che la sua superficie si comporta come popcorn in un secchio. I ciottoli sono quindi entrati in un’orbita molto lenta attorno all’asteroide e alla fine sono ricaduti sulla sua superficie, in un punto più lontano dove non c’era alcuna deformazione. Poi, secondo gli autori, l’asteroide deve aver subito una collisione, in seguito alla quale i ciottoli misti sciolti in superficie si sono trasformati in una roccia solida. «In pratica ha messo tutto insieme e questa ghiaia sciolta è diventata una roccia coesa», afferma Heck. Lo stesso impatto potrebbe aver spostato la nuova roccia, espellendola nello spazio. Alla fine, quel pezzo è caduto sulla Terra ed è il meteorite di Aguas Zarcas, portandoci la prova del mescolamento dei ciottoli.
Questa ipotesi potrebbe spiegare i ciottoli presenti in Aguas Zarcas, facendo del meteorite la prima prova fisica del processo geologico osservato da Osiris-Rex su Bennu e spiegando il modo in cui i minerali sulla superficie degli asteroidi si mescolano.
Per molto tempo gli scienziati hanno ipotizzato che il modo principale in cui i minerali sulla superficie degli asteroidi vengono riorganizzati fosse attraverso grandi collisioni, che però non si verificano molto spesso. «Da Osiris-Rex sappiamo che questi eventi di espulsione di particelle sono molto più frequenti degli impatti ad alta velocità», conclude Heck, «quindi probabilmente svolgono un ruolo più importante nel determinare la composizione di asteroidi e meteoriti».
Aguas Zarcas è il primo meteorite a mostrare segni di questo comportamento, ma probabilmente non è l’unico. Si tratta quindi di compiere ulteriori ricerche sui meteoriti già raccolti sulla Terra.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A record of post-accretion asteroid surface mixing preserved in the Aguas Zarcas meteorite” di Xin Yang, Romy D. Hanna, Andrew M. Davis, April I. Neander & Philipp R. Heck