La Luna è porosa. Molto porosa. E non solo in superficie, ma anche a grandi profondità: a 20 km sotto la crosta la percentuale di porosità si mantiene ancora attorno al 4 per cento – un valore sorprendente. Lo avevano scoperto le sonde gemelle Ebbe Flow della missione Grail della Nasa a fine 2011, durante i loro 90 giorni di ricognizione della gravità lunare. Da allora gli scienziati hanno cercato una spiegazione convincente per questa porosità inattesa, senza però venirne veramente a capo. Ora uno studio pubblicato questa settimana su Nature Communications chiarisce quale possa essere la causa di tanta porosità. E non riguarda solo la Luna, ma tutti i corpi rocciosi del Sistema solare: a renderli porosi – e più in generale ad alterarne profondamente la struttura – sono gli impatti con altri corpi.
Una conclusione che non sorprende più di tanto: il fatto che colpire un oggetto lo ammorbidisca, lo fratturi, lo rompa – pensate a un guantone da baseball, al ghiaccio, a una noce – è esperienza di tutti i giorni. Ma per verificare e, soprattutto, per quantificare il fenomeno, il team che ha firmato l’articolo – guidato da Sean Wiggins della Purdue University e del quale fa parte anche il lucchese Simone Marchi, un’autorità a livello internazionale in fatto di grandi collisioni cosmiche, oggi al Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado (Usa) – ha dovuto mettere a punto complesse simulazioni idrodinamiche e applicarle a corpi come appunto la Luna, la Terra e Marte.
«Mancava una descrizione del modo in cui la Luna è diventata così porosa. Questo è il primo lavoro», sottolinea un altro autore dell’articolo, Brandon Johnson, anch’egli della Purdue University, «che dimostra come i grandi impatti siano davvero in grado di fratturare la crosta lunare e produrre questa porosità».
Uno fra i risultati di maggior rilievo dello studio è che gli effetti geologici d’una collisione si possono riscontrare anche a notevole distanza – e profondità – rispetto al punto d’impatto. Qualunque punto della Terra, per esempio, risente degli effetti di almeno tre grandi collisioni. E tra le conseguenze più interessanti di questa “aratura” generalizzata è che gli ambienti porosi – in quanto naturale punto d’incontro fra roccia, acqua e atmosfera – offrono condizioni potenzialmente ospitali per la vita.
«C’è molto di cui essere entusiasti», conclude Wiggins. «I nostri dati risolvono un mistero. Ed è una ricerca con implicazioni per la Terra primordiale e per Marte. Se in passato c’era la vita, il successivo susseguirsi d’impatti avrebbe potuto sterilizzare il pianeta e fatto evaporare gli oceani. Ma qualche forma vita potrebbe essere riuscita a sopravvivere, a qualche centinaia di metri – o anche chilometri – di profondità, nei pori e negli interstizi. Avrebbero dunque rappresentato rifugi nei quali la vita poteva sottrarsi a questo tipo di impatti».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Widespread impact-generated porosity in early planetary crusts”, di Sean E. Wiggins, Brandon C. Johnson, Gareth S. Collins, H. Jay Melosh e Simone Marchi
Guarda la simulazione di un impatto sulla crosta lunare: