Sono stati premiati questa sera i vincitori del premio Aspen 2022, che valorizza la collaborazione scientifica fra Italia e Stati uniti. A vincere questa settima edizione è uno studio sull’associazione di lampi di raggi gamma con eventi di fusione fra oggetti compatti che emettono onde gravitazionali. La scoperta, che sancisce ancora una volta le potenzialità dell’astronomia multi-messaggera per comprendere fenomeni astrofisici complessi, vede anche la partecipazione dell’Inaf. Fra i coautori c’è Riccardo Ciolfi, ricercatore dell’Inaf di Padova, già coinvolto nei precedenti studi che riguardano l’evento di fusione fra due stelle di neutroni dell’agosto 2017, che portò alla produzione di un lampo gamma “corto” (viene convenzionalmente classificato così un evento con durata inferiore ai due secondi) e di una kilonova. Alla premiazione, che si è tenuta questa sera a Roma nel corso di un incontro e dibattito “Giovani e formazione scientifica”, partecipano anche il presidente dell’Inaf Marco Tavani e Marica Branchesi, presidente del consiglio scientifico Inaf, in qualità di membro del panel di discussione.
Riccardo Ciolfi, cosa sono questi “short gamma ray burst”? Se ne osservano molti?
«I gamma-ray burst sono lampi di radiazione in raggi gamma, rilevati ormai a centinaia ogni anno, la cui luminosità intrinseca è enorme, tanto da permetterci di osservarli anche se prodotti in galassie lontane. Nonostante la breve durata, da frazioni di secondo a centinaia o migliaia di secondi, l’energia sprigionata è tale da collocarli a buon diritto tra i fenomeni più energetici noti nell’universo. Dalla prima osservazione nel 1967, l’origine di queste impressionanti esplosioni cosmiche è rimasta una delle grandi domande aperte in astrofisica. Una conquista fondamentale è stata capire che i gamma-ray burst sono divisi in due categorie, distinte in base alla durata e altre proprietà del segnale, che fanno capo a due tipi diversi di sorgenti responsabili o “progenitori”».
Quali sono?
«Ci sono i cosiddetti “long” burst (lampi “lunghi”, ndr), che sappiamo oggi essere prodotti in corrispondenza di supernovae ultra-energetiche che risultano dal collasso al termine della vita di stelle di grande massa. Ci sono poi gli “short” burst (lampi “corti”, ndr), per la cui origine ha invece a lungo dominato l’ipotesi della coalescenza o fusione di due stelle di neutroni in un sistema binario. Il primo evento di coalescenza di questo tipo, osservato tramite il segnale in onde gravitazionali il 17 agosto 2017, oggetto della nostra ricerca, è stato in effetti accompagnato da un lampo gamma corto, fornendo la conferma tanto attesa».
Ogni volta che se ne osserva uno, quindi, siamo di fronte a un evento di fusione come quello analizzato nel vostro studio?
«Probabilmente sì. Oltre alla fusione di due stelle di neutroni, di cui ora siamo certi, resta aperta la possibilità che anche la fusione tra una stella di neutroni e un buco nero possa in alcuni casi produrre uno lampo gamma corto. Per il resto, decadi di incertezza sull’origine di questo fenomeno hanno portato a formulare molte altre ipotesi basate su diversi tipi di sorgenti, ma questa recente conferma ha reso ogni idea alternativa piuttosto marginale, almeno per il momento».
Come mai è così importante aver trovato loro un’origine?
«Sapere che il fenomeno è collegato alla fusione di due stelle di neutroni, oltre a risolvere un puzzle pluridecennale, ci consentirà di capire molto meglio le condizioni fisiche estreme in cui tali eventi si verificano e, con esse, il comportamento della materia a densità superiori a quella dei nuclei atomici, l’origine degli elementi chimici più pesanti, dall’oro all’uranio, e tanto altro. Inoltre, come dimostrato dall’evento del 2017, la combinazione di lampo gamma corto e altri segnali legati alla fusione, in primis le onde gravitazionali, permetteranno di avanzare le nostre conoscenze sulla gravità e di ottenere misure sempre più precise del tasso di espansione dell’universo».
Quando vengono emessi, esattamente, nel corso dell’evento di fusione?
«La fusione delle due stelle di neutroni porta alla formazione di un unico oggetto in rapida rotazione, una sorta di stella di neutroni “supermassiva”, che in gran parte dei casi, presto o tardi, collasserà in un buco nero. A questo punto, possono verificarsi le condizioni per lanciare un potentissimo getto di energia, collimato lungo l’asse di rotazione del buco nero. Tale “jet” darà poi origine al segnale in raggi gamma identificato come lampo gamma corto».
Cosa rimane da capire?
«Restano domande aperte su diversi aspetti fondamentali, dal meccanismo di lancio del jet stesso ai processi che trasformano parte della sua energia nel segnale gamma. Persino la possibilità che il jet sia lanciato prima del collasso, quindi dalla stella supermassiva anziché dal buco nero, non può essere esclusa con certezza. Ed è qui che lo studio dei possibili scenari tramite sofisticate simulazioni al computer, come nel nostro lavoro, diventa uno strumento fondamentale per arrivare, tramite il confronto con i dati, alla corretta descrizione del fenomeno».
Come avete fatto a scoprire questa associazione?
«Il burst di agosto 2017 è risultato molto più debole di ogni lampo gamma visto in precedenza, lasciando seri dubbi sulla sua vera natura. Due possibilità contrastanti sono subito emerse come favorite: eravamo di fronte a un canonico lampo gamma corto, visto questa volta da una diversa angolazione, o si trattava di un altro tipo di burst, magari prodotto in assenza di un jet collimato? Confrontando una nostra simulazione di un jet associato a un tipico lampo gamma corto con i dati a disposizione in banda gamma, X, ottica e radio abbiamo dimostrato che le tutte osservazioni potevano essere spiegate con un disallineamento di circa 30 gradi tra linea di vista e direzione di propagazione del jet. Se confermato, questo avrebbe fornito l’evidenza finale che la fusione di stelle di neutroni è davvero all’origine dei lampi gamma corti».
Ci sono state altre osservazioni simili in seguito?
«In effetti, ulteriori osservazioni radio condotte nei mesi successivi hanno poi fornito la conferma definitiva che la nostra interpretazione dell’evento era quella giusta».
Come vi siete candidati al premio Aspen? Vi aspettavate di poter vincere?
«Il premio dell’Aspen Institute Italia viene assegnato ogni anno a una singola ricerca recente, basata su una collaborazione tra Italia e Stati Uniti. Si accettano candidature in ogni ambito delle scienze naturali, sia teoriche che applicate, il che rende la selezione estremamente competitiva. In più, al prestigio del premio si aggiunge la somma davvero generosa offerta ai vincitori, attirando un gran numero di candidature. Convinti dell’importanza del nostro lavoro, ci siamo proposti, ma certo vincere è stata per tutti noi una (graditissima) sorpresa».
Cosa ne pensa del fatto che la premiazione sia proprio durante una conferenza che riguarda la formazione scientifica dei giovani? Che messaggio vorrebbe che passasse?
«Non posso che unirmi a voci ben più autorevoli di me che insistono sull’importanza della ricerca scientifica come motore fondamentale per il futuro della nostra società. La sfida della pandemia ha senz’altro avuto un impatto sull’opinione pubblica, unendosi agli effetti dei cambiamenti climatici e il problema sempre più evidente delle risorse energetiche. Occorre tuttavia trasformare le opinioni in azioni concrete. In questo quadro sembra chiaro, parlando di futuro, che grandissima attenzione va rivolta ai giovani, investendo sulla loro formazione anche e soprattutto in ambito scientifico. Sarebbe un grave errore non considerare questo punto un’assoluta priorità».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical review letters l’articolo: “Late Time Afterglow Observations Reveal a Collimated Relativistic Jet in the Ejecta of the Binary Neutron Star Merger GW170817” di Davide Lazzati, Rosalba Perna, Brian J. Morsony, Diego Lopez-Camara, Matteo Cantiello, Riccardo Ciolfi, Bruno Giacomazzo e Jared C. Workman