Durante l’International Astronautical Congress (Iac 2022) di quest’anno, a Parigi, tra le varie conferenze e incontri è stato dedicato un intero simposio per discutere sulla ricerca dei segnali artificiali extraterrestri. La comunità scientifica che lavora sul progetto Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence), da qualche anno, ha ripreso nuovo vigore e lo stimolo a cercare tecnosegnali remoti sta coinvolgendo molti radiotelescopi sparsi per tutto il globo. Nel 2016 è stato avviato un ambizioso progetto di ricerca chiamato Breakthrough Listen che vede coinvolto anche l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) con il Sardinia Radio Telescope (Srt). Ne parliamo con Andrea Melis dell’Inaf di Cagliari, il quale ha guidato una delle sessioni del simposio all’Iac di Parigi dedicato agli aggiornamenti sulla ricerca Seti a livello internazionale.
Anzitutto, cos’è il programma Breakthrough Listen?
«È un passo avanti notevole all’interno della ricerca Seti. In passato i programmi di ricerca Seti sono sempre stati condotti investigando il cielo ad ampio raggio, senza sapere bene dove puntare i radiotelescopi. Oggi invece, con la scoperta degli esopianeti, grazie anche al contributo dei telescopi spaziali come Kepler e Tess, si ha un focus molto preciso su dove cercare possibili sorgenti di tecnosegnali e dove dedicare tempo alle osservazioni. Inoltre il Breakthrough Listen conta su una ampia rete di collaborazione di istituti di ricerca e di una rete di telescopi sparsi per tutto il globo, incluso il radiotelescopio Fast cinese. Il progetto è nato nel 2015 con l’investimento di 100 milioni di dollari da parte di Yuri Milner, un fisico e imprenditore israeliano, e ha una durata di 10 anni, ma si estenderà sicuramente oltre il 2025. Il progetto ha sede al Berkeley Seti Research Center, all’Università della California, ma finanzia collaborazioni con diverse istituzioni coinvolte nel programma di ricerca, tra cui appunto l’Inaf con il Sardinia Radio Telescope, per unire gli sforzi e intensificare le osservazioni».
Com’è nata la collaborazione tra il Sardinia Radio Telescope e il programma Breakthrough Listen?
«Innanzitutto il programma Breakthrough Listen è iniziato sulla base di due radiotelescopi, il Green Bank Telescope in West Virginia, dal diametro di 100 metri, e il radiotelescopio Parkes nel New South Wales, in Australia, dal diametro di 64 metri. Il primo mattone del possibile coinvolgimento di Srt come facility del programma Breakthrough Listen è stato a Parigi nel 2014 con Andrew Siemion (il direttore del progetto al Berkeley Seti Research Center), poi nel 2016 a un altro incontro all’International Astronautical Congress di Guadalajara, in Messico. Nel 2018 ho organizzato una spedizione di italiani nel quartier generale del Breakthrough Listen, all’Università di Berkeley, dove ci venne dato il consenso definitivo di Siemion, e qui abbiamo posto le basi per un programma di osservazioni con il telescopio Srt in affiancamento del Green Bank. Srt è infatti uno dei pochissimi grandi telescopi single-dish direzionabili attualmente esistenti a lavorare alle alte frequenze, fin oltre 100 GHz. Quindi nel 2019 due americani del Breakthrough Listen Program sono venuti in visita in Sardegna al Srt e abbiamo concordato un memorandum of understanding fra l’Inaf di Cagliari e la Breakthrough Foundation. Nel 2020 ci hanno mandato la strumentazione da installare nel telescopio e nel 2021 abbiamo iniziato il programma vero e proprio, dedicando 100 ore di tempo antenna per le osservazioni di target specifici. Tutti i dati raccolti in questa sessione di osservazioni sono attualmente in fase di studio da parte di quattro studenti che hanno vinto una internship finanziata dalla Breakthrough Listen Foundation».
Che tipo di target ha osservato Srt?
«Con Srt abbiamo osservato il centro della Via Lattea e alcuni esopianeti. Il centro galattico, essendo la regione più ricca di stelle della nostra galassia, si predispone a essere un obiettivo primario per la ricerca di tecnosegnali, quindi è stata condotta un’ampia survey nelle frequenze tra i 7 e i 22 GHz. Abbiamo poi puntato Srt su 45 esopianeti scoperti dal telescopio della Nasa Tess. Questo telescopio spaziale ha scovato migliaia di esopianeti nel corso delle sue survey (finora sono più di 5000 i candidati esopianeti scoperti da Tess), parte dei quali situati nella fascia abitabile, ovvero dove l’acqua potrebbe essere presente sulla superficie allo stato liquido, condizione necessaria affinché possa esserci la vita. All’interno del progetto Breakthrough Listen c’è un programma di osservazioni mirato proprio a indagare tra i candidati più promettenti scoperti da Tess, e anche tra quelli che in futuro scopriremo con il James Webb Space Telescope».
L’Inaf sta quindi supportando positivamente la ricerca Seti partecipando al progetto Breakthrough Listen. Si sono messe le fondamenta per un percorso di ricerca attivo e a lungo termine?
«Sì, di recente abbiamo avuto dei feedback molto positivi da Inaf, c’è un riconoscimento che oggigiorno lo scenario Seti è molto cambiato rispetto al passato e quindi ci possono essere ricadute importanti anche dal punto di vista scientifico, sopratutto per quanto riguarda lo studio degli esopianeti. Ci sarà quindi possibilità di avere ancora tempo telescopio dedicato con Srt e una migliore gestione e flessibilità per l’uso dell’antenna su target specifici. Sono ormai stati scoperti tanti pianeti extrasolari ed è possibile osservarli con Srt praticamente in tutte le ore della giornata, e cercheremo di sfruttare ogni possibile momento libero dell’antenna per puntare un esopianeta visibile».
Quindi anche per il 2023 c’è un programma osservativo per Srt o attualmente prevedete solo di fare analisi dati delle osservazioni del 2021?
«Certo, nel 2023 Srt tornerà nuovamente operativo nella ricerca Seti. Avremo a disposizione nuovi ricevitori ad alta frequenza e quindi contiamo di estendere la ricerca a frequenze ancora più alte. Una nuova campagna osservativa sarà infatti messa a punto dal programma Breakthrough Listen in vista delle nuove scoperte che verranno fatte in ambito di esopianeti, in primis dalle osservazioni del James Webb Space Telescope, su cui ci sono molte aspettative».
Prima ha accennato al fatto che Srt è uno tra i più grandi telescopi single-dish oggi esistenti adatti a osservare alle alte frequenze. Qual è il motivo di osservare a queste frequenze al fine di rilevare un tecnosegnale?
«In linea di principio non possiamo sapere dove si trovino nella galassia le civiltà aliene e che frequenze di trasmissione usino, ma quello che possiamo vedere qui sulla Terra con le osservazioni è che a basse frequenze sono presenti moltissime interferenze dovute alle trasmissioni usate durante la nostra vita quotidiana (radio, telefono, antenne, TV, ecc.), mentre alle alte frequenze queste interferenze sono meno frequenti o quasi nulle, quindi non è da escludere che un’eventuale civiltà avanzata decida intenzionalmente di trasmettere a queste frequenze proprio per non compromettere il segnale. Si tratta di un’ipotesi speculativa ma concreta, su cui si può lavorare e impostare un programma di osservazione. Ovviamente uno dei problemi principali è che un segnale trasmesso da un’ipotetica civiltà remota sia molto simile a quello che qui sulla Terra può venire prodotto da una qualsiasi sorgente artificiale, e quindi è molto complicato intercettare un tecnosegnale remoto nella marea di rumore che noi produciamo sulla Terra».
Un punto fondamentale della ricerca Seti è riuscire a rilevare un tecnosegnale che provenga davvero da qualche sorgente remota e non di produzione terrestre. Che metodi ci sono per separare i due tipi di segnale e non incappare in falsi positivi?
«Il vantaggio del programma Breakthrough Listen è che usa radiotelescopi e facility sparse per il globo. Il Green Bank Telescope negli Stati Uniti, Parkes in Australia, MeerKat in Sud Africa sono insieme la spina dorsale del progetto, ma molte altre collaborazioni con altri osservatori, tra cui appunto Srt in Sardegna, rafforzano la rete di radiotelescopi coinvolti nella ricerca. In questo modo è possibile fare un immediato follow-up dei dati raccolti, ovvero un controllo incrociato di possibili emissioni target. Poiché un segnale positivo arriverebbe contemporaneamente su tutti i telescopi della rete, è possibile escludere segnali o interferenze locali e fare controlli sulla reale direzione di arrivo. Questa procedura la seguiremo anche autonomamente in Italia, perché insieme a Srt in affiancamento c’è anche il radiotelescopio di Medicina, situato a trenta chilometri da Bologna, e che in passato era già attivo nel progetto Seti. Lavorando insieme a Srt darà quindi la possibilità di verificare subito l’origine locale del segnale, prima di passare ai controlli incrociati con gli altri telescopi della rete internazionale».
Si tratta comunque anche di processare una quantità notevole di dati. Che tipo di lavoro viene fatto sotto questo aspetto?
«C’è uno sforzo notevole dal punto di vista del miglioramento degli algoritmi matematici che lavorano sui dati raccolti nel programma di ricerca, e si tratta in effetti di una mole di dati notevole. In Italia abbiamo lavorato parecchio per sviluppare un algoritmo matematico ad hoc chiamato Karhunen-Loève Transform (dal nome di un teorema matematico usato per rappresentare un processo stocastico come somma di funzioni lineari) e lo abbiamo implementato e usato per alcuni test. Per processare tutti questi dati serve una notevole forza di calcolo e tanto tempo. Il problema principale, nei dati che raccogliamo, è che potenziali tecnosegnali sono immersi in un notevole rumore di sottofondo che li sovrastano, ed è necessario lavorare molto con gli algoritmi e renderli sempre più efficienti per separare il rumore dai segnali potenziali.
Ci sono già dei pattern con cui confrontare i dati su come dovrebbe essere costruito un tecnosegnale. È interessante, infatti, che gli stessi algoritmi usati per la ricerca Seti vengono usati, per esempio, anche per la ricerca di pulsar e fast radio burst, perché entrambe queste sorgenti presentano un carattere di ripetibilità nel segnale elettromagnetico che emettono, e quindi il tipo analisi computazionale che viene effettuato è simile. Ovviamente un segnale artefatto ha caratteristiche differenti, e tramite algoritmi di machine learning e di intelligenza artificiale si può individuare un possibile pattern di origine non naturale. La cosa comunque interessante è che sia i codici di questi algoritmi che i dati raccolti nel programma Breakthrough Listen sono pubblici, e tutte le persone che avessero voglia e interesse possono accedere a queste informazioni e partecipare attivamente alla ricerca».
Rispetto a quello che è stato discusso durante il simposio all’Iac di Parigi a cui ha partecipato, ci sono reali speranze in futuro di trovare tecnosegnali? Che opinioni ci sono state a riguardo?
«Durante una riunione del congresso di Parigi c’è stata una commemorazione di Frank Drake, autore della famosa equazione omonima con cui tentò di stimare il numero delle civiltà aliene presenti nella nostra galassia, morto poco tempo fa. Ci sono molti parametri incerti e quindi è difficile darne una stima reale. Certamente il problema di rivelare un tecnosegnale sta anche nelle enormi distanze in gioco, e nel fatto che un segnale emesso artificialmente da una ipotetica civiltà aliena si attenua molto durante un viaggio di molti anni luce, per quanto potenti possano essere le sorgenti utilizzate. Questo è ancora il limite principale che si deve tenere in conto. La comunità scientifica che lavora intorno a Seti confida comunque molto nei nuovi radiotelescopi che in futuro verranno affiancati a quelli attuali, come per esempio lo Square Kilometre Array. Saranno radiotelescopi che avranno una sensibilità tale per cui ci aspettiamo di poter anche rilevare tecnosegnali non intenzionali, cioè segnali emessi da qualche civiltà aliena non per forza mirati a essere intercettati sulla Terra ma prodotti da sorgenti dovute intrinsecamente allo sviluppo di tecnologia avanzata. Anche noi esseri umani sulla Terra stiamo emettendo continuamente tecnosegnali che ora stanno viaggiando nel cosmo, fin dalla prima emissione radiofonica a inizio Novecento – segnali che finora hanno percorso quasi cento anni luce. Si tratta di possibili emissioni isotrope e non mirate e che potrebbe risultare interessante scoprire anche come possibili indizi di relitti di civiltà forse scomparse che hanno emesso migliaia di anni fa questi segnali».
E secondo lei che effetti avrebbe sulla comunità scientifica e sulla nostra società la possibile conferma di rilevazione di un tecnosegnale?
«Una cosa importante di cui si è discusso nella sessione “Seti and Society”, nel simposio all’Iac, riguarda proprio come la comunità scientifica, politica e in generale la nostra società reagirebbero in caso di effettivo contatto con un segnale alieno. Si tratta di una questione filosofica molto ampia e le cui ripercussioni sarebbero non scontate. Si è discusso di un progetto per simulare la possibile ricezione di un tecnosegnale remoto. È un progetto che non può essere ancora troppo divulgato e che riguarderà diverse collaborazioni internazionali e attualmente è ancora in fase di sviluppo. In linea generale si tratta fare una simulazione di un potenziale scenario, nei limiti del possibile, di quello che succederebbe a livello scientifico se davvero riuscissimo a provare la ricezione di un tecnosegnale. Prossimamente ne sentiremo parlare, rimanete in ascolto con le antenne ben aperte!».
Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:
Correzione del 7/10/2022: Yuri Milner è di nazionalità israeliana, non russa come inizialmente riportato.