Già conosciuto agli addetti ai lavori per la sua altissima luminosità, il quasar Rbs 1055 è stato osservato nel marzo 2021 per circa una settimana con il telescopio spaziale della Nasa NuStar. Uno sguardo alla sorgente è arrivato nello stesso periodo anche con il telescopio ottico di Monte Palomar, negli Stati Uniti. Il lavoro ha sfruttato anche i dati di archivio raccolti nel 2014 dal satellite dell’Esa Xmm-Newton. A studiare in dettaglio questo mostro cosmico è stato Andrea Marinucci, ricercatore dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), che ha coordinato il team internazionale di cui fanno parte anche colleghe e colleghi dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e delle Università di Roma Tre e Bologna.
«Ancora una volta i satelliti Xmm-Newton e NuStar ci hanno permesso di sbirciare nelle regioni più interne di questi giganti del cielo. Grazie ai lunghi tempi di osservazione siamo riusciti a misurare la temperatura del plasma di elettroni responsabile dell’alta luminosità X vicino al buco nero e le proprietà del gas neutro a distanze molto maggiori», dice Marinucci, primo autore dell’articolo pubblicato su Astronomy & Astrophysics.
«Situato a 6 miliardi di anni luce dalla Terra, il quasar Rbs 1055 ospita un buco nero di massa 650 milioni di volte quella del Sole. Per misurare la massa sono state sfruttate le osservazioni ottiche delle emissioni di idrogeno provenienti dalla regione di gas orbitante attorno al buco nero e distante da esso circa 100 giorni luce, misurandone la velocità», commenta Giustina Vietri dell’Inaf di Roma, seconda autrice dell’articolo che descrive lo studio. «Questo buco nero inoltre fagocita ogni anno una quantità di materia pari a quella del Sole. In generale rappresenta un oggetto unico per studiare i processi fisici che danno origine all’emissione X a queste distanze».
Lo studio conferma la natura “ribelle” di questo gigante, che ha una luminosità nei raggi X tra 10 e 15 volte superiore a quella osservata in sorgenti simili: Rbs 1055 presenta delle proprietà tipiche di quasar molto più vicini e giovani, che solitamente non vengono riscontrate, per insufficienza o scarsità di dati in banda X, in analoghi oggetti celesti situati a distanze comparabili ad esso o maggiori. Secondo il gruppo di ricerca, i dati Xmm e NuStar mostrano come il modello teorico “a due corone”, che descrive l’emissione della radiazione elettromagnetica di un quasar sia in ottimo accordo con le osservazioni nei raggi X di Rbs 1055. Questo scenario fisico prevede la presenza due nuvole composte principalmente da elettroni – chiamate per l’appunto ‘corone’ – distribuite sopra il disco di accrescimento, attorno al buco nero centrale. Quella più calda, con una temperatura misurata pari a circa 350 milioni di gradi, è all’origine della gran parte dei fotoni rivelati nella banda X. Quella più fredda invece, con una temperatura di circa un milione e mezzo di gradi, è responsabile dell’emissione ultravioletta e nella banda X “soffice”».
Osservazioni future nei raggi X di altre sorgenti a queste distanze ci diranno se il quasar Rbs 1055 è un ribelle solitario o se è in buona compagnia di altri giganti del cielo.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Breaking the rules at z≃0.45: the rebel case of RBS 1055”, di A. Marinucci, G. Vietri, E. Piconcelli, S. Bianchi, M. Guainazzi, G. Lanzuisi, D. Stern e C. Vignali