Si pensa che comprendere i buchi neri sia la chiave per svelare le leggi fondamentali che governano il cosmo, perché questi oggetti all’apparenza mostruosi rappresentano il limite di due delle teorie fisiche più collaudate: la teoria della relatività generale – che descrive la gravità come manifestazione della deformazione (su larga scala) dello spaziotempo in seguito alla presenza di oggetti massicci – e la teoria della meccanica quantistica – che descrive la fisica alle scale più piccole. Per riuscire a descrivere completamente i buchi neri, dovremmo mettere insieme queste due teorie e formare una teoria della gravità quantistica.
Per cercare di raggiungere questo obiettivo, un gruppo di scienziati dell’Università di Amsterdam e del Ifw di Dresda, invece di guardare ciò che viene inghiottito dai buchi neri, ha deciso di concentrarsi su ciò che riesce a sfuggire. L’orizzonte degli eventi è un confine intangibile attorno a ciascun buco nero, oltre il quale non c’è modo di uscire. Tuttavia, è noto che Stephen Hawking scoprì che ogni buco nero deve emettere una piccola quantità di radiazione termica a causa di piccole fluttuazioni quantistiche attorno al suo orizzonte.
Sfortunatamente, questa radiazione non è mai stata rilevata direttamente. Si prevede che la quantità di radiazione di Hawking proveniente da ciascun buco nero sia così piccola che, con la tecnologia attuale, sia impossibile rilevarla, affogata nella radiazione proveniente da tutti gli altri oggetti cosmici.
Questi scienziati si sono fatti una domanda interessante: in alternativa, potremmo studiare il meccanismo alla base dell’emergere della radiazione di Hawking proprio qui, sulla Terra? La risposta, udite udite, è un eccitante “sì”.
«Volevamo utilizzare i potenti strumenti della fisica della materia condensata per sondare la fisica irraggiungibile di questi incredibili oggetti: i buchi neri», dice Lotte Mertens, prima autrice dello studio pubblicato la settimana scorsa su Physical Review Research.
Per fare ciò, i ricercatori hanno studiato un modello basato su una catena unidimensionale di atomi, in cui gli elettroni possono “saltare” da un atomo all’altro. La deformazione dello spaziotempo dovuta alla presenza di un buco nero viene imitata regolando la facilità con cui gli elettroni possono effettivamente compiere questo salto.
Con la giusta variazione della probabilità con la quale la particella riesce a fare il salto lungo la catena, un elettrone che si muove da un’estremità all’altra della catena si comporterà esattamente come un pezzo di materia che si avvicina all’orizzonte di un buco nero. E, analogamente alla radiazione di Hawking, il sistema modellato presenta eccitazioni termiche misurabili in presenza dell’orizzonte sintetico.
Nonostante la mancanza di gravità effettiva nel sistema, considerare questo orizzonte sintetico fornisce importanti informazioni sulla fisica dei buchi neri. Ad esempio, il fatto che la radiazione di Hawking simulata sia termica solo per una specifica scelta di variazione spaziale della probabilità del salto, suggerisce che anche la radiazione di Hawking possa essere puramente termica solo in determinate situazioni.
Inoltre, la radiazione di Hawking si verifica solo quando il sistema parte da una condizione iniziale in cui non è presente alcuna variazione spaziale delle probabilità di salto, imitando uno spaziotempo piatto senza alcun orizzonte, prima di essere trasformato in uno che ospita un buco nero sintetico. L’emergere della radiazione di Hawking richiede quindi un cambiamento nella deformazione dello spaziotempo, o un cambiamento nel modo in cui un osservatore che cerca la radiazione percepisce questa deformazione.
Infine, la radiazione di Hawking richiede che una parte della catena esista oltre l’orizzonte sintetico. Ciò significa che l’esistenza della radiazione termica è strettamente connessa alla proprietà quantomeccanica dell’entanglement tra oggetti su entrambi i lati dell’orizzonte.
Poiché il modello è così semplice, può essere implementato in varie configurazioni sperimentali, tra le quali sistemi elettronici sintonizzabili, spin chain, atomi ultrafreddi o esperimenti ottici. Portare i buchi neri in laboratorio può avvicinarci di un passo alla comprensione dell’interazione tra gravità e meccanica quantistica e portarci sulla strada per una teoria della gravità quantistica.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Research l’articolo “Thermalization by a synthetic horizon” di Lotte Mertens, Ali G. Moghaddam, Dmitry Chernyavsky, Corentin Morice, Jeroen van den Brink, and Jasper van Wezel