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Antenne in ascolto del cuore del primo quasar

Grazie a una rete di radiotelescopi sparsa in tutto il mondo, un gruppo internazionale di scienziati ha realizzato nuove osservazioni di 3C 273, il primo quasar mai identificato, mostrando le zone più interne e profonde del potente getto di plasma che parte dal buco nero supermassiccio nel cuore di questa lontana galassia. Con il commento di Ciriaco Goddi, ricercatore all'Università di Cagliari, Inaf e Infn

     22/11/2022

Il getto del quasar 3C 273 dalle estremità più profonde (a sinistra, ripreso dagli array di radiotelescopi Gmva e Alma e al centro, dall’High Sensitivity Array) a quelle più lontane (a destra, in un’immagine del telescopio spaziale Hubble). Crediti: Hiroki Okino and Kazunori Akiyama; Gmva+Alma and Hsa images: Okino et al.; Hst Image: Esa/Hubble & Nasa

Nel cuore di quasi tutte le galassie dell’universo si nasconde un buco nero supermassiccio, con una massa pari a milioni o addirittura miliardi di volte quella del Sole. Ma non tutti i buchi neri supermassicci sono uguali: ne esistono di diversi tipi e i quasar, o oggetti quasi-stellari, sono tra i più luminosi e attivi che si conoscano.

Un team internazionale di scienziati ha pubblicato nuove osservazioni del primo quasar mai identificato, noto come 3C 273, scoperto negli anni Sessanta in direzione della costellazione della Vergine. Il nuovo studio, pubblicato oggi su The Astrophysical Journal, riesce a mostrare le zone più interne e profonde del potente getto di plasma emesso dal quasar, vicino al buco nero centrale, alla massima risoluzione angolare finora ottenuta.

«3C 273 è stato studiato per decenni come il laboratorio ideale più vicino per i getti dei quasar», spiega Hiroki Okino, dottorando presso l’Università di Tokyo e l’Osservatorio astronomico nazionale del Giappone e primo autore del nuovo lavoro. «Tuttavia, anche se il quasar è un nostro vicino di casa, fino a poco tempo fa non avevamo un occhio abbastanza acuto per vedere dove si forma questo stretto e potente flusso di plasma».

Questo lavoro è stato reso possibile grazie all’utilizzo di una rete strettamente coordinata di antenne radio in tutto il mondo, una combinazione del Global Millimeter Vlbi Array (Gmva) e dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma) in Cile.

«Le nuove immagini mostrano il getto di 3C 273 con un livello di dettaglio mai raggiunto prima», commenta l’astrofisico Ciriaco Goddi, docente all’Università di Cagliari e ricercatore associato presso l’Istituto nazionale di astrofisica e l’Istituto nazionale di fisica nucleare, che ha partecipato allo studio in qualità di responsabile dell’osservazione, della calibrazione e dell’analisi dei dati Alma, in collaborazione con il Centro regionale europeo Alma a Leiden, Paesi Bassi, e con l’Osservatorio Haystack del Mit, negli Stati Uniti. «In particolare, grazie alla combinazione del Global Millimeter Vlbi Array e di Alma, possiamo avere finalmente accesso alla base di questi potentissimi getti e studiare il loro meccanismo di accelerazione e collimazione che, da 50 anni a questa parte, rimane un problema irrisolto dell’astrofisica moderna».

Sono state effettuate anche osservazioni coordinate con l’High Sensitivity Array (Hsa) per studiare 3C 273 su scale diverse, al fine di misurare anche la forma globale del getto. I dati di questo studio sono stati raccolti nel 2017, più o meno nello stesso periodo in cui sono state realizzate le osservazioni dell’Event Horizon Telescope (Eht) che hanno rivelato le prime immagini di un buco nero.

I buchi neri supermassicci attivi emettono getti di plasma collimati e incredibilmente potenti che si propagano nello spazio a velocità prossime a quella della luce. Questi getti sono stati studiati per molti decenni, ma alcuni dettagli sulla loro formazione non sono ancora del tutto chiari. In particolare, non è ancora stato compreso come e dove avvenga la collimazione dei getti, una proprietà che permette loro di raggiungere enormi distanze, ben oltre la galassia ospite, e quindi di influenzare l’evoluzione della galassia stessa. Le nuove osservazioni sono ad oggi le più profonde nel cuore di un buco nero, proprio nelle regioni dove il flusso di plasma viene collimato in uno stretto fascio.

L’immagine del getto di 3C 273 permette agli scienziati di vedere, per la prima volta, la parte più interna del getto in un quasar, luogo dei processi fisici che danno luogo alla collimazione o restringimento del fascio di plasma. Il team ha inoltre scoperto che l’angolo del flusso che fuoriesce dal buco nero si restringe su una distanza molto lunga. Questo restringimento del getto continua incredibilmente lontano, ben oltre l’area in cui domina la gravità del buco nero.

«È sorprendente vedere che la forma del potente flusso si modella lentamente su una lunga distanza in un quasar estremamente attivo. Questo fenomeno è stato scoperto anche nelle vicinanze di buchi neri supermassicci molto più deboli e meno attivi», afferma Kazunori Akiyama, ricercatore all’Osservatorio Haystack del Mit e responsabile del progetto. «I risultati pongono una nuova domanda: come mai la collimazione del getto avviene in modo così coerente in sistemi di buchi neri così diversi?».

I radiotelescopi del Global Millimeter Vlbi Array (Gmva) e Alma, combinati in un potente array globale chiamato Gmva+Alma. Crediti: Kazunori Akiyama

Le nuove immagini del getto di 3C 273 sono incredibilmente nitide grazie all’inclusione dell’array Alma nella rete intercontinentale di radiotelescopi che ha realizzato le osservazioni. Il Gmva e Alma sono stati collegati attraverso la tecnica dell’interferometria a lunghissima linea di base (Vlbi) per ottenere informazioni estremamente dettagliate su sorgenti astronomiche distanti. La notevole capacità Vlbi di Alma è stata resa possibile dal team Alma Phasing Project (App), guidato dal Mit Haystack Observatory, che ha sviluppato l’hardware e il software per trasformare Alma, un array di 66 telescopi, nella stazione di interferometria astronomica più sensibile al mondo. La raccolta dei dati a queste lunghezze d’onda aumenta notevolmente la risoluzione e la sensibilità dell’array. Questa capacità è stata fondamentale anche per realizzare le immagini dei buchi neri con Eht.

«La possibilità di utilizzare Alma come parte delle reti Vlbi globali ha cambiato completamente le carte in tavola per lo studio dei buchi neri», afferma Lynn Matthews, principal research scientist di Haystack e commissioning scientist di App. «Ci ha permesso di ottenere le prime immagini in assoluto dei buchi neri supermassicci e ora ci sta aiutando a vedere per la prima volta nuovi incredibili dettagli su come alimentano i loro getti».

Questo studio apre la strada a ulteriori esplorazioni dei processi di collimazione del getto in altri tipi di buchi neri. I dati ottenuti a frequenze più elevate, tra cui 230 e 345 GHz con Eht, permetteranno agli scienziati di osservare dettagli ancora più minuti nei quasar e in altri buchi neri.

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Collimation of the relativistic jet in the quasar 3C 273” di Hiroki Okino, Kazunori Akiyama, Keiichi Asada, José L. Gómez, Kazuhiro Hada, Mareki Honma, Thomas P. Krichbaum, Motoki Kino, Hiroshi Nagai, Uwe Bach, Lindy Blackburn, Katherine L. Bouman, Andrew Chael, Geoffrey B. Crew, Sheperd S. Doeleman, Vincent L. Fish, Ciriaco Goddi, Sara Issaoun, Michael D. Johnson, Svetlana Jorstad, Shoko Koyama, Colin J. Lonsdale, Ru-sen Lu, Ivan Martí-Vidal, Lynn D. Matthews, Yosuke Mizuno, Kotaro Moriyama, Masanori Nakamura, Hung-Yi Pu, Eduardo Ros, Tuomas Savolainen, Fumie Tazaki, Jan Wagner, Maciek Wielgus, Anton Zensus