Per secoli nessuno sapeva se nell’universo esistessero altri pianeti come il nostro. Ora, grazie a nuovi telescopi sempre più sensibili e ai metodi di individuazione di pianeti extrasolari impiegati negli ultimi decenni, sappiamo che ci sono migliaia di pianeti che orbitano attorno a stelle lontane, di varie tipologie e dimensioni: grandi e piccoli, rocciosi e gassosi, ricoperti di nubi, di ghiaccio oppure da oceani.
Uno studio pubblicato su Nature Astronomy e condotto da scienziati dell’Università di Chicago, dell’Università del Michigan e dell’Università del Maryland suggerisce che, all’elenco dei pianeti possibili, se ne possano aggiungere alcuni con atmosfere particolarmente ricche di elio.
«Ci sono così tanti tipi di esopianeti là fuori, strani e meravigliosi, e questa scoperta non solo aggiunge un nuovo tipo alla lista, ma può avere implicazioni per la comprensione dell’evoluzione e della formazione dei pianeti in generale», afferma l’astrofisico Leslie Rogers, co-autore dello studio.
Almeno la metà di tutte le stelle come il Sole ha almeno un pianeta di dimensioni tra la Terra e Nettuno, che orbita molto vicino alla stella. Si ipotizza che questi pianeti abbiano atmosfere ricche di idrogeno ed elio, accumulate nel processo di formazione. Tuttavia, osservando la distribuzione di questi diversi pianeti, gli scienziati hanno notato che si possono distinguere due popolazioni: i pianeti del primo gruppo hanno all’incirca le dimensioni di una Terra e mezza, mentre i pianeti del secondo gruppo sono grandi il doppio della Terra o anche di più. In mezzo, tra questi due gruppi, non si trova quasi nessun pianeta. Questo divario tra le due popolazioni è noto come la valle dei raggi ed è una questione molto dibattuta nel settore.
Alcuni hanno proposto che la spiegazione di questo divario potrebbe avere a che fare con le atmosfere dei pianeti stessi: è difficile per un pianeta vicino alla sua stella, costantemente bombardato da raggi X e luce ultravioletta, mantenere la sua atmosfera. «Forse il gruppo di pianeti più piccoli ha perso completamente la sua atmosfera ed esiste solo come nucleo roccioso», spiega Isaac Malsky, primo autore dello studio.
Rogers e Malsky hanno quindi deciso di studiare più da vicino questo fenomeno, noto come fuga atmosferica. In particolare, hanno creato modelli basati su dati osservativi di pianeti e sulle leggi della fisica, al fine di comprendere più a fondo come il calore e le radiazioni ne influenzino le atmosfere. Quindi hanno creato 70mila pianeti simulati, variandone le dimensioni, il tipo di stella attorno alla quale orbitano e la temperatura dell’atmosfera, e hanno modellato ciò che sarebbe accaduto loro nel tempo.
Ciò che hanno scoperto è che, dopo diversi miliardi di anni, l’idrogeno nelle atmosfere planetarie probabilmente si allontana più velocemente dell’elio. «L’idrogeno ha una massa atomica inferiore, quindi è più facile eliminarlo», spiega Malsky. Nel tempo, questo si traduce in un accumulo di elio: le simulazioni suggeriscono che l’elio potrebbe costituire il 40 per cento o più della massa delle atmosfere.
Il team ha suggerito un modo per confermare questi risultati in modo osservativo. Poiché il telescopio spaziale James Webb e altri potenti telescopi possono determinare gli elementi delle atmosfere degli esopianeti e la loro quantità, potrebbero verificare se di fatto è presente una quantità insolitamente grande di elio nelle atmosfere di alcuni di questi pianeti.
Se la teoria è corretta, questi pianeti con atmosfere ricche di elio dovrebbero essere particolarmente comuni all’estremità inferiore del gruppo di pianeti di raggio maggiore, perché l’elio si accumula mentre il pianeta inizia a ridursi nel tempo man mano che la sua atmosfera viene gradualmente rimossa.
Si ritiene che nessuno di questi pianeti sia un buon candidato per ospitare la vita: sono bollenti, bombardati da radiazioni e le atmosfere sono probabilmente ad altissima pressione. Tuttavia, conclude Rogers: «Ottenere una migliore comprensione di questa popolazione potrebbe dirci molto sulle origini e l’evoluzione dei pianeti di dimensioni inferiori a Nettuno, che sono chiaramente un risultato piuttosto comune del processo di formazione planetaria».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Helium-enhanced planets along the upper edge of the radius valley” di Isaac Malsky, Leslie Rogers, Eliza M.-R. Kempton & Nadejda Marounina