Oltre venti telescopi da tutto il mondo e dallo spazio hanno osservato un evento rarissimo: l’espulsione di getti di materia a velocità relativistiche dai poli un buco nero supermassiccio a seguito della distruzione di una stella, trascinata e disgregata da intensissime forze mareali. Questo fenomeno, chiamato tidal disruption event (Tde), solo in circa l’uno per cento dei casi provoca l’espulsione di getti di plasma e radiazioni dai poli del buco nero rotante. La scoperta, appena pubblicata su Nature, è avvenuta grazie alla Zwicky Transient Facility (Ztf) dell’Osservatorio Palomar, negli Stati Uniti, che ha rilevato un’insolita sorgente di luce visibile, poi chiamata AT2022cmc. Si tratta del Tde più distante mai osservato, e ha spinto un vasto team di ricercatori a osservare lo stesso fenomeno con diversi strumenti e in differenti bande dello spettro elettromagnetico.
Ci siamo fatti raccontare i dettagli di questa scoperta direttamente da Igor Andreoni, astronomo dell’Università del Maryland alla guida del gruppo che ha firmato lo studio insieme a Michael Coughlin dell’Università del Minnesota. Andreoni ha studiato fisica all’università di Milano facendo il pendolare dalla sua città d’origine, Bergamo, e ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Melbourne, in Australia. I tre anni successivi li ha trascorsi in California al Caltech – sì, quello di The Big Bang Theory – e attualmente vive a Washington DC. La sua attività di ricerca si svolge tra l’Università del Maryland e il Goddard Space Flight Center della Nasa, e oltre a studiare i fenomeni più energetici dell’universo ha due grandi passioni: il calcio e la pesca.
Cosa avete scoperto e perché è un risultato così sorprendente?
«Abbiamo scoperto un getto di materiale lanciato a velocità relativistica – cioè prossima alla velocità della luce – da un buco nero supermassiccio che ha distrutto e “divorato” una stella simile al Sole che gli si è avvicinata troppo. Le energie in gioco sono enormi. Il “nostro” è il Tde più distante mai osservato. La luce emessa da questo evento ha viaggiato per più di otto miliardi di anni prima di raggiungere la Terra, e ciò significa che questo evento è successo quando l’universo era a circa un terzo della sua età attuale».
I tidal distruption events sono rari?
«Sì, i Tde sono rari e solo l ‘uno per cento di loro genera getti relativistici. Il motivo per cui succede così di rado è ancora sconosciuto. I nostri dati suggeriscono che questo buco nero stava ruotando molto rapidamente, il che potrebbe essere un indizio verso la soluzione di questo mistero. Si tratta di un’occasione davvero preziosa per studiare la fisica di un buco nero a distanze cosmologiche – di cui altrimenti non avremmo mai saputo l’esistenza – durante un episodio raro ed estremo, fatto che evidenzia misteri a cui ancora non sappiamo dare risposta».
Come siete riusciti a osservare il fenomeno?
«In questo caso, uno dei getti era puntato nella nostra direzione, il che ci ha consentito di osservare l’evento anche se è accaduto in una galassia molto distante. I Tde che producono getti sono stati osservati solo un paio di volte in passato per lo più grazie ai satelliti che sono sensibili a lampi di raggi gamma (i gamma-ray burst). È la prima volta che ne scopriamo uno con un telescopio ottico anziché dai satelliti che cercano gamma-ray burst. Oltre alla banda ottica, è tra le sorgenti transienti più luminose mai osservate nei raggi X e nelle bande radio/millimetriche. L’ultimo di questi episodi risale a più di un decennio fa.Questa volta invece la scoperta è avvenuta in modo nuovo. Abbiamo identificato una sorgente particolare usando un telescopio ottico, la Zwicky Transient Facility. Entro un’ora abbiamo pubblicato una nota per la comunità astronomica in cui abbiamo annunciato che questo nuovo puntino nel cielo – chiamato AT2022cmc – poteva essere particolarmente interessante».
Ma che cos’ha di speciale At2022cmc?
«Unendo tutti i dati che abbiamo raccolto abbiamo capito che AT2022cmc è diverso da tutto lo “zoo” di fenomeni transienti meglio conosciuti, di cui fanno parte le supernove e altre classi di esplosioni cosmiche. Tuttavia, AT2022cmc ha alcune caratteristiche molto simili a Tde con getti che erano stati osservati in passato. Questo paragone ci ha portati nella direzione giusta per capire con che cosa stessimo avendo a che fare. Mano a mano che nuovi dati venivano raccolti in bande luminose diverse, è stato scioccante rendersi conto delle energie estreme che questo evento ha sprigionato».
Come avete reagito, quando vi siete resi conto di essere davanti a un fenomeno raro?
«La scoperta è stata fatta cercando il famoso ago nel pagliaio tra centinaia di migliaia di pacchetti di informazione che vengono generati ogni notte dalla Zwicky Transient Facility. Appena abbiamo capito di aver trovato qualcosa di speciale, cioè una sorgente nuova che stava per sparire in fretta, l’abbiamo osservata usando telescopi che captano bande di luce differenti. Grazie a un gran lavoro di squadra con decine di ricercatori in tutto il mondo, siamo riusciti a studiare questo evento rarissimo proveniente dalle profondità dell’universo».
Perché sono stati necessari tanti telescopi?
«Questi fenomeni a cui siamo interessati si evolvono molto velocemente. In prima battuta questo Tde è stato identificato come una sorgente ottica la cui luminosità decresce molto rapidamente, per cui idealmente non puoi aspettare a prendere nuovi dati ma ti serve un network di telescopi in giro per il mondo che completano le osservazioni. Inoltre, per poter ottenere un risultato scientifico, una banda di osservazione non basta, ed è stato importantissimo nel nostro caso avere dati X, radio e in banda millimetrica. Questo approccio – cosiddetto multi-banda – è attualmente il più utilizzato e quello da cui di solito si impara di più».
Come mai c’è proprio lei alla guida di questa scoperta, firmata da tanti autori?
«Non è affatto una domanda banale! La scoperta è stata fatta usando il codice che ho scritto, e quindi ho guidato tutta la campagna osservativa della nostra squadra. Appena abbiamo riconosciuto come interessante questa sorgente, abbiamo pubblicato in meno di un’ora una nota per tutta la comunità astronomica descrivendo come la sorgente appariva – rossa e veloce – e poi tanta gente ha preso dei dati in modo indipendente e mi ha contattato. Ho fatto in qualche modo il direttore d’orchestra con Michael [Coughlin, ndr], decidendo quali osservazioni fare, con quale frequenza e a che profondità. Ho coordinato gli sforzi fatti usando telescopi in India, a La Palma, i telescopi spaziali e ho poi messo insieme tutte le informazioni per provare a capire di che oggetto si trattasse. Quello che volevamo trovare noi era una kilonova, ovvero una controparte nell’ottico di onde gravitazionali: un evento transiente che si genera quando due stelle di neutroni si scontrano tra di loro. Questo genere di eventi si verifica di solito nell’universo vicino, ma abbiamo scritto un codice che ha saputo captare fenomeni con caratteristiche simili anche molto più lontani. Abbiamo subito mostrato questi dati ai colleghi più esperti della collaborazione ed è stato un lavoro di squadra fantastico!».
Che emozioni si provano quando ci si imbatte in una scoperta del genere?
«La scoperta è avvenuta il giorno di San Valentino di quest’anno, ma ci abbiamo messo qualche giorno per capire di cosa si trattava. Abbiamo capito subito che era qualcosa di interessante, ma la portata della scoperta è stata chiara solo dopo avere ottenuto tutti i dati, tra cui quelli in banda X, e ad avere una conferma della distanza da parte del Very Large Telescope dell’Eso. È stato molto emozionante. Ho scritto immediatamente ai miei colleghi – e in questi casi c’è sempre una fase di “calma prima della tempesta” in cui devi capire se c’è qualcosa che non va nei dati, o se quella che hai trovato è una sorgente comune che per qualche motivo appare solo più interessante del solito. In questa fase, quindi, bisogna frenare l’entusiasmo. Però questo è proprio il motivo per cui amo fare ricerca: il momento in cui apri un’immagine e capisci di essere davanti a qualcosa di completamente nuovo che magari nessuno ha visto prima e non vedi l’ora di comunicarlo e continuare a osservare».
Per saperne di più:
- Leggi su Media Inaf la news “Pasto per buco nero al termine dell’universo”
- Leggi su Nature l’articolo “A very luminous jet from the disruption of a star by a massive black hole”, di Igor Andreoni, Michael W. Coughlin, Daniel A. Perley, Yuhan Yao, Wenbin Lu, S. Bradley Cenko, Harsh Kumar, Shreya Anand, Anna Y. Q. Ho, Mansi M. Kasliwal, Antonio de Ugarte Postigo, Ana Sagués-Carracedo, Steve Schulze, D. Alexander Kann, S. R. Kulkarni, Jesper Sollerman, Nial Tanvir, Armin Rest, Luca Izzo, Jean J. Somalwar, David L. Kaplan, Tomás Ahumada, G. C. Anupama, Katie Auchettl, Sudhanshu Barway, Eric C. Bellm, Varun Bhalerao, Joshua S. Bloom, Michael Bremer, Mattia Bulla, Eric Burns, Sergio Campana, Poonam Chandra, Panos Charalampopoulos, Jeff Cooke, Valerio D’Elia, Kaustav Kashyap Das, Dougal Dobie, José Feliciano Agüí Fernández, James Freeburn, Cristoffer Fremling, Suvi Gezari, Simon Goode, Matthew J. Graham, Erica Hammerstein, Viraj R. Karambelkar, Charles D. Kilpatrick, Erik C. Kool, Melanie Krips, Russ R. Laher, Giorgos Leloudas, Andrew Levan, Michael J. Lundquist, Ashish A. Mahabal, Michael S. Medford, M. Coleman Miller, Anais Möller, Kunal P. Mooley, A. J. Nayana, Guy Nir, Peter T. H. Pang, Emmy Paraskeva, Richard A. Perley, Glen Petitpas, Miika Pursiainen, Vikram Ravi, Ryan Ridden-Harper, Reed Riddle, Mickael Rigault, Antonio C. Rodriguez, Ben Rusholme, Yashvi Sharma, I. A. Smith, Robert D. Stein, Christina Thöne, Aaron Tohuvavohu, Frank Valdes, Jan van Roestel, Susanna D. Vergani, Qinan Wang e Jielai Zhang
Guarda l’intervista a Igor Andreoni pubblicata su MediaInaf Tv la scorsa estate: