Non c’è dubbio: l’astronomia e l’astrofisica stanno vivendo una vera e propria età dell’oro, regalando immense soddisfazioni tanto agli addetti ai lavori quanto al grande pubblico. Questo è particolarmente vero per quella branca dell’astrofisica che è stata battezzata archeologia galattica. Grandi campagne osservative da Terra e dallo spazio, infatti, stanno raccogliendo dati che consentono di tracciare le posizioni, i moti, le età e la composizione chimica di centinaia di migliaia di stelle nella nostra galassia e nei suoi satelliti, con una precisione impensabile solo fino a pochi anni fa. Si pensi alle grandi surveys spettroscopiche da terra passate, presenti e future, quali Rave, Gaia-Eso Public Spectroscopic Survey, Apogee, Galah, Weave, 4Most, e alle missioni spaziali – Gaia, Kepler, Plato, per citarne solo alcune. Questa enorme mole di dati vincola notevolmente i modelli teorici e le simulazioni cosmologiche, consentendo di ampliare la nostra conoscenza dei processi che hanno determinato la formazione e l’evoluzione della Via Lattea (così come di altre galassie) dal Big Bang ai giorni nostri. Gli elementi chimici, presenti in diverse proporzioni nel mezzo interstellare –e, quindi, nelle stelle che da esso si formano a diversi tempi– sono dei traccianti fondamentali di tali processi.
Carbonio, azoto e ossigeno (detti elementi CNO dalle iniziali dei loro nomi latini – Carbo, Nitrogenum e Oxygenium) sono, dopo idrogeno ed elio, gli elementi più abbondanti nell’universo. Combinandosi con l’idrogeno, essi formano le molecole essenziali alla vita come noi la conosciamo. Quando la materia primordiale emerse dal Big Bang, tuttavia, C, N e O non erano presenti: questi elementi, infatti, necessitano di condizioni particolari che si verificano negli interni stellari per essere prodotti attraverso reazioni termonucleari. Lo studio degli elementi CNO coinvolge e interessa, pertanto, diversi ambiti e discipline, che spaziano dalla fisica nucleare alla fisica delle astroparticelle, dalla biologia alla fisica degli interni stellari, fino ai complessi processi che regolano la formazione ed evoluzione delle galassie.
Gli elementi CNO sono presenti sotto forma di sette isotopi stabili: 12C, 14N e 16O sono i principali e più abbondanti, mentre 13C, 15N, 17O e 18O sono quelli secondari, più rari. La teoria dell’evoluzione e della nucleosintesi stellare ci dice che la produzione degli elementi nelle stelle dipende dalla loro massa e composizione chimica iniziale. Nelle stelle di massa pari o superiore a 8-9 volte quella del Sole, per esempio, lo yield del 12C (lo yield di un dato elemento chimico, in questo caso il 12C, è la frazione di massa che una stella espelle sotto forma di quell’elemento di nuova produzione durante tutta la sua vita, a seguito di venti stellari e/o di esplosioni), sintetizzato durante il bruciamento dell’elio attraverso il processo tre alfa, aumenta con la metallicità (definita come la frazione di massa della stella presente sotto forma di elementi più pesanti dell’elio), mentre si comporta in maniera opposta nelle stelle di massa intermedia, tra 3 e 7-8 volte la massa del Sole. In questo caso, è la produzione di 14N (e di 13C) a essere favorita al crescere della metallicità. Stelle di massa compresa tra 1 e 3 masse solari espellono quantità significative di 12C nel mezzo che le circonda. Per quanto riguarda 16O e 18O, le stelle massicce ne sono i maggiori produttori, mentre le stelle di massa inferiore tendono a distruggerli. Alcuni isotopi secondari – 13C, 15N e 17O – sono prodotti in quantità rilevanti durante il bruciamento esplosivo che accompagna gli outbursts di nova – esplosioni che si ripetono in sistemi stellari binari formati da una nana bianca e da una stella di sequenza principale (o di braccio gigante) che cede del materiale alla compagna, senza distruggerli.
Ed è proprio da una panoramica sulla sintesi degli elementi CNO nelle stelle che inizia la mia review “The evolution of CNO elements in galaxies”, pubblicata nel volume di dicembre 2022 di The Astronomy & Astrophysics Review. Oltre a ricordare i successi della teoria di evoluzione e nucleosintesi stellare nel descrivere come questi elementi vengano sintetizzati nelle stelle, vengono sottolineate le attuali incertezze e lacune – in primis, il fatto che le interazioni di stelle in sistemi binari (o multipli) vengono raramente considerate. Eppure, è chiaro che queste abbiano degli effetti non trascurabili sugli yields. Ci si concentra poi sulla descrizione di come le abbondanze degli elementi vengano modificate nel tempo da tutti quei processi – accrescimento di gas freddo attraverso filamenti e/o merger, formazione stellare, feedback stellare, venti galattici che espellono gas arricchito da esplosioni di supernove nel mezzo intergalattico– che determinano l’evoluzione delle galassie.
Sebbene la mole di dati a disposizione ci faccia apparire la storia evolutiva della nostra galassia come un enorme libro aperto, dobbiamo ammettere che alcuni capitoli sono ancora di difficile lettura. Per esempio, ci dobbiamo confrontare con il fatto che l’analisi di diverse righe spettrali per una data specie chimica possa portare alla determinazione di abbondanze non consistenti. L’utilizzo di diversi modelli di atmosfera stellare nell’analisi (1D vs. 3D, Lte vs. non-Lte) similmente conduce spesso a risultati discrepanti. Il Sole è un classico esempio. È necessario quindi capire prima le sistematiche che influenzano l’analisi dei dati, per poter poi tracciare andamenti delle abbondanze chimiche abbastanza solidi, dal cui studio i modelli teorici possono inferire informazioni sui tempi scala e le modalità di evoluzione delle strutture galattiche. La comprensione dell’evoluzione degli elementi CNO nella nostra galassia è ancora incompleta, e questa costituisce un passaggio imprescindibile se vogliamo poter interpretare i dati che arrivano da sistemi lontani osservati ad alto redshift, ad esempio dal telescopio spaziale Jwst o dai radiointerferometri Alma e Noema.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astronomy and Astrophysics Review l’articolo “The evolution of CNO elements in galaxies”, di D. Romano