Studiando oggetti lontanissimi, l’astronomia è una scienza nella quale, tranne rare eccezioni, ci si deve accontentare di osservare. Dunque non stupisce che gli astronomi abbiano ideato modi di osservare sempre più ingegnosi. Ne è un esempio notevole la campagna condotta due anni fa, dal Cile, a seguito della rilevazione di un Grb – un lampo di raggi gamma, in inglese gamma-ray burst – visto esplodere dal telescopio spaziale Swift alle 20:39:13 Ut del 21 dicembre 2019, e per questo chiamato Grb 191221B. Una campagna i cui risultati sono stati pubblicati ieri sulle pagine di Nature Astronomy da un team che più internazionale non si potrebbe – una ventina d’astronomi di Taiwan, Giappone, Regno Unito, Cile, Danimarca, Francia, Germania e Italia – guidato da Yuji Urata della National Central University di Taiwan. Una campagna che vale la pena raccontare.
L’astronomia è una scienza osservativa, dicevamo. E la materia principale con la quale ha a che fare è fatta di fotoni: onde elettromagnetiche, dunque. Onde che gli astronomi studiano misurandone principalmente ampiezza e frequenza. Le variazioni nel tempo dell’ampiezza della luce d’una stella, per esempio, consentono di calcolare l’orbita e le dimensioni del pianeta che le passa davanti. Mentre dalle variazioni nel tempo della frequenza d’una sorgente possiamo capire se si sta allontanando o avvicinando, e a quale velocità. Ancora, combinando ampiezze e frequenze possiamo ottenere gli spettri, e risalire così alle molecole presenti nell’atmosfera d’un mondo che si trova a centinaia d’anni luce da noi.
Insomma, gli astronomi hanno imparato a estrarre da ampiezza e frequenza una quantità d’informazioni inverosimile. Ma un’onda elettromagnetica ha una terza grandezza che la caratterizza: la polarizzazione, ovvero la direzione lungo la quale oscilla mentre si propaga. Ed è proprio andando a combinare misure a più frequenze della polarizzazione del bagliore rimasto là dove s’era visto esplodere Grb 191221B – bagliore caratteristico chiamato afterglow – che Urata e colleghi sono riusciti a compiere la loro impresa. Per dirla con le parole di uno degli autori dello studio, Stefano Covino dell’Inaf di Merate, «siamo riusciti a ottenere per la prima volta – con l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma) e il Very Large Telescope (Vlt) dell’Eso – osservazioni quasi-simultanee in polarimetria dell’afterglow di un Grb».
Torniamo dunque alle 20:39 di quel 21 dicembre 2019, quando nello spazio Swift viene inondato dalla radiazione del lampo gamma. Immediatamente un sistema d’allerta automatica diffonde la notizia dell’evento nella comunità degli astronomi che si occupano di questi fenomeni, mettendo in moto una complessa quanto collaudata catena di osservazioni e analisi da terra. Tempo mezza giornata e due pesi massimi quali, appunto, Alma e il Vlt dell’Eso entrano in azione, volgendo il primo le sue 66 antenne e il secondo i suoi specchi da 8.2 metri di diametro ciascuno verso le coordinate indicate da Swift.
Antenne e specchi. Già, perché Alma e il Vlt sono progettati per ricevere segnali a frequenze diverse: in banda radio e microonde Alma, in banda ottica il Vlt. Entrambi, inoltre, sono capaci di misurare quanto quei segnali sono polarizzati. Ed è dal confronto fra il diverso grado di polarizzazione alle due frequenze – radio e ottiche – che emerge il dato interessante: in banda radio, rispetto a quella in banda ottica, l’emissione dell’afterglow appare depolarizzata. Un indizio rivelatore. Nell’afterglow di un Grb è fondamentale il contributo della radiazione di sincrotrone – una radiazione polarizzata emessa a seguito dell’accelerazione degli elettroni. Ma il grado di polarizzazione che ci si attende di osservare nelle due bande è diverso: una differenza che può fornire una stima quantitativa del rapporto fra elettroni non accelerati ed elettroni accelerati. Stima che a sua volta consente di risalire a ritroso all’energia complessiva in gioco nell’evento – tipicamente, il collasso di una stella di grande massa o la fusione tra due stelle di neutroni – che ha dato origine all’esplosione del Grb.
Detto così può sembrare quasi semplice, ma in realtà le cose sono molto più complesse. La polarizzazione, per esempio, dipende anche dalla presenza di polvere, come ben ha insegnato la vicenda di Bicep2. Fortunatamente il Vlt è dotato anche di un eccezionale spettrografo, X-Shooter, che ha consentito di tracciare la polvere nell’ambiente in cui il Grb ha avuto origine e di stimarne il contributo alla polarizzazione. Non solo: quella della polarizzazione è una misura estremamente complicata, e per realizzarla simultaneamente a varie frequenze era necessario un lampo gamma molto luminoso e osservabile da entrambi i siti con condizioni meteorologiche perfette. Il lampo giusto al momento giusto e nel posto giusto: l’identikit di Grb 191221B.
Risultato: l’energia richiesta nell’evento iniziale doveva essere almeno il doppio di quella che si è registrata nel Grb. Una conclusione importante, che consente di comprendere meglio le energie in gioco, e dunque i processi, all’origine dei lampi gamma – i fenomeni più energetici dell’universo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Simultaneous radio and optical polarimetry of GRB 191221B afterglow”, di Yuji Urata, Kenji Toma, Stefano Covino, Klaas Wiersema, Kuiyun Huang, Jiro Shimoda, Asuka Kuwata, Sota Nagao, Keiichi Asada, Hiroshi Nagai, Satoko Takahashi, Chao-En Chung, Glen Petitpas, Kazutaka Yamaoka, Luca Izz, Johan Fynbo, Antonio de Ugarte Postigo, Maryam Arabsalmani e Makoto Tashiro