Quale probabilità ha una particella d’antimateria di viaggiare per migliaia di anni luce nello spazio profondo, riuscendo dal cuore della Via Lattea ad arrivare fino a noi? Poiché antimateria e materia si annichiliscono a vicenda non appena entrano in contatto, verrebbe da pensare che sia una probabilità piuttosto bassa. Stando però a un esperimento condotto al Cern di Ginevra nell’anello di Lhc con l’esperimento Alice, i cui risultati sono riportati oggi su Nature Physics, le cose stanno diversamente. E l’esito dipende da cosa ha generato l’antimateria. In particolare, se parliamo di nuclei di anti–elio-3 prodotti dall’annichilazione di particelle di materia oscura, in media uno su due dovrebbe riuscire ad arrivare destinazione.
Antimateria e materia oscura sono due cose completamente diverse. Di particelle di antimateria – antiquark, antielettroni (meglio noti come positroni), antinuclei e antiatomi – pare ce ne siano pochissime rispetto alla materia, ma sul fatto che esistano non c’è alcun dubbio. E per quanto il nome possa suonare esotico, in realtà le produciamo e le usiamo tutti i giorni anche qui sulla Terra: per esempio, ogni volta che facciamo una Pet. Il nostro stesso corpo ne produce in media 180 all’ora. Di particelle di materia oscura, al contrario, pare ce ne sia una quantità enorme, arrivando a costituire oltre i quattro quinti di tutta la materia dell’universo, ma sulla loro natura – e persino sulla loro esistenza – è mistero fitto, non essendone mai stata intercettata nessuna.
E allora come entrano in relazione, antimateria e materia oscura, in questo esperimento condotto al Cern? È presto detto: alcuni modelli teorici ipotizzano che fra i processi che generano antimateria possa esserci anche l’annichilazione di particelle di materia oscura – processo che darebbe origine a nuclei di anti-elio-3: ovvero, nuclei formati da due antiprotoni e un antineutrone. È solo un’ipotesi, dunque va messa alla prova. E un modo per farlo è misurare con precisione il flusso di questi antinuclei provenienti dalle regioni centrali della nostra galassia, la Via Lattea – là dove ci si attende una maggiore densità di materia oscura.
È una misura, questa del flusso di antimateria dallo spazio, che si sta tentando con vari esperimenti, come per esempio Ams, installato all’esterno della Stazione spaziale, e Gaps, uno strumento che vola a bordo di palloni stratosferici. Per risalire alla quantità di antimateria prodotta da sorgenti cosmiche, però, oltre a misurarne il flusso occorre stimare – come dicevamo all’inizio – quanta ne va perduta lungo la strada.
Ed è qui che entra in gioco l’esperimento condotto con Alice al Cern. Dentro all’anello di Lhc, dalla collisione fra protoni e nuclei di atomi di piombo si formano sciami di particelle e antiparticelle, fra le quali – appunto – i nuclei di anti-elio-3. Dalla differenza fra quanti ne vengono prodotti e quanti ne vengono rivelati, gli scienziati dell’esperimento Alice sono stati in grado di misurare per la prima volta la probabilità che, lungo un dato percorso, un antinucleo interagisca con la materia, annichilendosi. Incorporando poi i dati così ottenuti in un modello sulla propagazione dei raggi cosmici – un’altra sorgente di antimateria – attraverso la Via Lattea, i ricercatori del team di Alice sono riusciti a ottenere una stima della trasparenza della nostra galassia all’antimateria. Non solo: sono stati in grado di calcolare i diversi gradi di trasparenza offerti dalla nostra galassia a seconda del processo all’origine dei nuclei di anti-elio-3.
Risultato: se a produrre gli antinuclei sono i raggi cosmici, la trasparenza della Via Lattea si colloca entro una finestra variabile dal 25 al 90 per cento (dipende dal livello di energia degli antinuclei), mentre se alla loro origine vi è l’annichilazione di particelle di materia oscura il fattore di trasparenza restituito dal modello è del 50 per cento – vale a dire che in media riesce a passare un antinucleo su due, come dicevamo.
Dunque una prima – non scontata – conclusione è che i nuclei di antimateria possono percorrere tratti di Via Lattea lunghi diverse migliaia di anni luce senza venir assorbiti. «I nostri risultati mostrano, per la prima volta sulla base di una misurazione diretta dell’assorbimento, che i nuclei di anti-elio-3 provenienti dal centro della nostra galassia possono raggiungere posizioni vicine alla Terra», dice infatti Andrea Dainese, coordinatore della fisica di Alice e ricercatore all’Infn di Padova.
Ancor più importante, però, è il fatto che sia teoricamente possibile stimare – analizzando il livello di energia degli antinuclei giunti a destinazione – quanti siano “figli” della materia oscura. «Ciò che abbiamo scoperto», conclude a questo proposito Luciano Musa, portavoce di Alice, «dimostra che le ricerche di nuclei di antimateria leggera provenienti dallo spazio continuano a essere un metodo potente per la caccia alla materia oscura».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Physics l’articolo “Measurement of anti-3He nuclei absorption in matter and impact on their propagation in the Galaxy” della Collaborazione Alice
- Leggi la press release del Cern (in ignlese)