La materia oscura potrebbe essere composta da fotoni oscuri ultraleggeri che hanno scaldato il nostro universo: è questo il nuovo scenario proposto in uno studio pubblicato il mese scorso sulla rivista scientifica Physical Review Letters. L’ipotesi, secondo gli autori, sarebbe in eccellente accordo con le osservazioni fatte dallo spettrografo Cosmic Origin Spectrograph (Cos), che viaggia a bordo del telescopio spaziale Hubble. I dati Cos permettono di misurare le proprietà fisiche della cosiddetta “ragnatela cosmica” – o “cosmic web”: il complesso network di filamenti che riempie lo spazio tra le galassie. I dati raccolti dallo strumento suggeriscono che i filamenti cosmici intergalattici sono più caldi di quanto previsto dalle simulazioni che ne riproducono la formazione seguendo il modello standard.
«Dal momento che sarebbero capaci di convertirsi in fotoni a bassa frequenza, scaldando così le strutture cosmiche, i fotoni oscuri potrebbero spiegare quanto osservato sperimentalmente», dicono gli scienziati. Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori della Sissa in collaborazione con quelli delle università di Tel Aviv, Nottingham e New York.
«I fotoni oscuri sono delle ipotetiche nuove particelle che funzionerebbero come vettori di un nuovo tipo di forza nel settore della materia oscura, così come i fotoni lo sono per l’elettromagnetismo», spiegano gli autori James S. Bolton (Università di Nottingham), Andrea Caputo (Cern e Università di Tel Aviv), Hongwan Liu (New York University) e Matteo Viel (Sissa). «A differenze dei fotoni, però, i dark photons possono avere una massa. A nostro avviso, i fotoni oscuri ultraleggeri, la cui massa è inferiore di venti volte a quella di un elettrone, sono un buon candidato come componenti della materia oscura».
Secondo lo studio, i fotoni oscuri e i fotoni regolari si mescolerebbero, così come fanno i diversi tipi di neutrini. Ciò permetterebbe ai fotoni oscuri di convertirsi in fotoni a bassa frequenza, scaldando così la cosmic web. A differenza di altri meccanismi di riscaldamento basati su processi astrofisici, come la formazione delle galassie e i venti galattici, questa modalità è però più diffusa ed efficiente anche in regioni non molto dense.
«Solitamente, i filamenti cosmici sono stati usati per misurare le proprietà della materia oscura su piccola scala. In questo caso», spiega Viel, ultimo autore della ricerca, «abbiamo usato per la prima volta i dati del mezzo intergalattico a basso redshift come un misuratore di calore, per vedere se tutto i processi di calore di cui siamo a conoscenze siano sufficienti a riprodurre questi dati. Abbiamo trovato che non è così: c’è qualcosa che manca. Questa componente mancante, secondo la nostra proposta, potrebbe derivare da un contributo dato dai fotoni oscuri».
Questo lavoro ha identificato la massa e l’accoppiamento del fotone oscuro con i fotoni del modello standard richiesti per conciliare la discrepanza tra osservazioni e simulazioni. Questo sforzo potrebbe guidare ulteriori indagini per esplorare l’eccitante possibilità che i fotoni oscuri siano effettivamente gli elementi costitutivi della materia oscura.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Comparison of Low-Redshift Lyman-α Forest Observations to Hydrodynamical Simulations with Dark Photon Dark Matter”, di James S. Bolton, Andrea Caputo, Hongwan Liu e Matteo Viel