Gli astronomi le chiamano glitches. Come le imperfezioni che si potevano verificare in Matrix quando veniva cambiato qualcosa. C’è un cambiamento anche all’origine delle irregolarità – per la precisione, discontinuità strutturali a grande scala – registrate nel cuore di 24 giganti rosse da un team guidato da Mathieu Vrard della Ohio State University: si presentano quando le stelle evolute, esaurita la loro scorta d’idrogeno e sostenute dalla fusione dell’elio, si avvicinano alle fasi terminali della loro evoluzione. E offrono agli astronomi, con le loro discontinuità, uno strumento prezioso per sondarne l’interno. Il risultato, pubblicato oggi su Nature Communications, fornisce la prima caratterizzazione osservativa dettagliata degli strati più profondi di queste giganti rosse.
L’ambito che studia le oscillazioni e le discontinuità spettrali delle stelle è chiamato astrosismologia, e consente di ottenere informazioni su un ambiente altrimenti inaccessibile qual è – appunto – il loro interno, un po’ come i geologi, attraverso l’analisi delle onde sismiche, riescono a ricostruire la composizione delle viscere della Terra. «Le onde che si propagano al loro interno», spiega infatti una delle autrici dello studio, Margarida Cunha, dell’Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço (Portogallo), «inducono minuscole variazioni di luminosità stellare che possono essere rilevate da strumenti spaziali molto precisi. Queste onde rivelano così le condizioni del mezzo in cui si propagano, vale a dire le proprietà fisiche dell’interno delle stelle stesse».
«Nel nostro lavoro», aggiunge a Media Inaf un altro degli autori dello studio appena pubblicato su Nature Communications, Enrico Corsaro dell’Inaf di Catania, «ci riferiamo a zone di discontinuità proprio all’interno del nucleo stellare, qualcosa che non si era mai ottenuta dallo studio di dati prima d’ora. Si tratta di regioni piuttosto estese (intese appunto come su larga scala, cioè non microscopiche), al punto che queste regioni di discontinuità provocano un segno per noi riconoscibile sulle oscillazioni stellari che vi passano attraverso e che poi riusciamo a rilevare in superficie tramite la nostra analisi astrosismica».
Il campione preso in esame da Vrard e colleghi è formato da 359 giganti rosse, tutte al di sotto di una certa massa. Si tratta di stelle utilizzate dagli astrofisici come riferimenti per il calcolo delle distanze, per misurare caratteristiche quali la densità delle galassie e per studiare i processi fisici all’origine dell’evoluzione chimica stellare. È dunque fondamentale che vengano modellate in modo corretto, il che implica comprendere il perché di queste discontinuità. Misurandone le proprietà e le frequenze di oscillazione attraverso i dati ottenuti dal telescopio spaziale Kepler della Nasa, gli autori dello studio hanno scoperto che circa il 7 per cento del campione – 24 stelle, appunto – mostra discontinuità strutturali. Glitches.
«La caratteristica di queste giganti rosse che bruciano elio nel nucleo è che nel nucleo stesso – che nelle fasi precedenti è praticamente tutto radiativo – si generano delle zone convettive, da cui pare si originino le discontinuità che osserviamo», precisa Corsaro.
Le teorie che potrebbero spiegare la comparsa delle discontinuità sono essenzialmente due. La prima suggerisce che siano presenti lungo l’intera storia evolutiva delle stelle, ma di solito troppo deboli per essere classificate come glitches. Nel secondo scenario, quello avvalorato dallo studio di Vrard e colleghi, entrerebbe invece in gioco qualche processo fisico sconosciuto che “appianerebbe” le irregolarità ma, in un secondo tempo, indurrebbe cambiamenti nella struttura interna delle stelle. «Propendiamo più per questa seconda teoria», dice Vrard, «perché la prima non sarebbe compatibile con le nostre osservazioni». Ma sono comunque necessari dati più precisi. Dati che potrebbero arrivare da future missioni spaziali dedicate all’astrosismologia, come per esempio Haydn, una fra le proposte in gara per selezione della futura M7 dell’Esa.
«Haydn, come ha già fatto Kepler, fornirà le condizioni ottimali per l’analisi delle oscillazioni stellari, in particolare per le giganti rosse», spiega Corsaro. «Sicuramente tramite Haydn avremo l’incredibile opportunità di analizzare questo genere di caratteristiche nell’ambito di formazione stellare comune, come quella degli ammassi stellari, e di diverse regioni di formazione stellare all’interno della nostra galassia, come le regioni ad alta densità del bulge galattico. In tal modo l’astrosismologia ci consentirà di avere un quadro molto più approfondito e completo sul panorama stellare della Via Lattea, e di conseguenza sia sull’evoluzione e formazione galattica che sull’evoluzione stellare in generale».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Evidence of structural discontinuities in the inner core of red-giant stars”, di Mathieu Vrard, Margarida S. Cunha, Diego Bossini, Pedro P. Avelino, Enrico Corsaro e Benoît Mosser
Guarda l’animazione realizzata da Tania Cunha (Planetário do Porto – Centro Ciência Viva)/Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço: