Quando, nel 2014, i rover della Nasa trovarono ossidi di manganese nelle rocce dei crateri Gale ed Endeavour su Marte, la scoperta portò alcuni scienziati a suggerire che miliardi di anni fa il Pianeta rosso poteva avere più ossigeno nella sua atmosfera. Secondo loro, i minerali trovati per formarsi probabilmente avevano richiesto abbondante acqua e condizioni fortemente ossidanti. Dalla documentazione geologica riguardante la Terra, si poteva infatti concludere che la presenza di ossidi di manganese stava a indicare che Marte nel suo passato doveva avere sperimentato aumenti periodici dell’ossigeno atmosferico, prima di scendere ai bassi livelli di oggi.
Ora, un nuovo studio sperimentale della Washington University di St. Louis capovolge questa visione. Gli scienziati hanno scoperto che in condizioni simili a quelle marziane, gli ossidi di manganese possono formarsi facilmente senza ossigeno atmosferico. Utilizzando la modellazione cinetica, hanno inoltre dimostrato che l’ossidazione del manganese non è possibile in un’atmosfera ricca di anidride carbonica, come quella prevista sull’antico Marte.
«Il legame tra gli ossidi di manganese e l’ossigeno risente di una serie di fattori geochimici fondamentali», afferma Jeffrey Catalano, professore di Scienze della terra e planetarie, nonché corresponding author dello studio pubblicato oggi su Nature Geoscience.
Potenziali percorsi del ciclo degli alogeni su Marte, comprese le reazioni con ferro e manganese. Gli alogeni rilasciati dall’interno di Marte fungono da fonte primaria sulla superficie marziana. Le specie ossialogene, in particolare perclorato, clorato e bromato, sono prodotte da processi atmosferici e di superficie. Si accumulano sulla superficie di Marte finché non si dissolvono in acqua e vengono trasportate o filtrano verso il basso nel sottosuolo come salamoie. Gli ossialogeni nei corpi idrici permanenti possono fungere da ossidanti del Fe(ii) disciolto e formare minerali di ossido di ferro, nonché cloruro e bromuro, che per evaporazione potrebbero formare sali di alogenuri. Le salamoie ossialogene possono interagire con il Mn(ii) disciolto nelle fratture e nelle vene e formare ossidi di manganese(iii/iv) insolubili. Crediti: Mitra et al, Nature GeoscienceRispetto alla Terra, Marte è un pianeta ricco di elementi alogeni come cloro e bromo. «Gli alogeni si trovano su Marte in forme diverse da quelle presenti sulla Terra e in quantità molto maggiori, e abbiamo pensato che potrebbero avere avuto un ruolo importante per il destino del manganese», spiega Catalano.
Catalano e Kaushik Mitra, primo autore dello studio della Stony Brook University, hanno condotto esperimenti di laboratorio utilizzando clorato e bromato – forme dominanti di questi elementi su Marte – per ossidare il manganese nei campioni d’acqua che hanno creato per replicare i fluidi sull’antica superficie marziana. «Siamo stati ispirati dalle reazioni osservate durante la clorazione dell’acqua potabile», riferisce Catalano. «Per comprendere altri pianeti a volte è richiesto di applicare le conoscenze acquisite in campi della scienza e dell’ingegneria apparentemente non correlati».
Gli scienziati hanno così scoperto che gli alogeni convertono il manganese disciolto in acqua in ossido di manganese da migliaia a milioni di volte più velocemente rispetto all’ossigeno. Inoltre, nelle condizioni debolmente acide che gli scienziati ritengono devono esserci state sulla superficie del Marte primordiale, il bromato produce ossido di manganese più rapidamente di qualsiasi altro ossidante disponibile. In molte di queste condizioni, l’ossigeno è addirittura del tutto incapace di formare ossidi di manganese.
«L’ossidazione non richiede il coinvolgimento dell’ossigeno per definizione», spiega Mitra. «In precedenza, abbiamo proposto possibili ossidanti su Marte diversi dall’ossigeno oppure tramite foto-ossidazione ultravioletta, che aiutano a spiegare perché il Pianeta rosso è rosso. Nel caso del manganese, semplicemente fino ad ora non avevamo una valida alternativa all’ossigeno che potesse spiegare gli ossidi di manganese».
I nuovi risultati alterano le interpretazioni fondamentali dell’abitabilità del Marte primordiale, che sono uno dei driver principali delle attuali ricerche sul pianeta da parte delle agenzie spaziali Nasa ed Esa. Ma solo perché probabilmente in passato non c’era ossigeno atmosferico, non c’è motivo di credere che non ci fosse vita. «Ci sono diverse forme di vita anche sulla Terra che non richiedono ossigeno per sopravvivere», racconta Mitra. «Non credo sia una “battuta d’arresto” per l’abitabilità, solo che probabilmente non c’erano forme di vita basate sull’ossigeno».
Organismi estremofili che possono sopravvivere in un ambiente ricco di alogeni – come gli organismi unicellulari che amano il sale e i batteri che prosperano nel Grande Lago Salato e nel Mar Morto, sulla Terra – potrebbero fare lo stesso su Marte.
«Abbiamo bisogno di più esperimenti condotti in diverse condizioni geochimiche che siano più rilevanti per pianeti specifici come Marte, Venere e mondi oceanici come Europa ed Encelado, per avere la corretta e piena comprensione degli ambienti geochimici e geologici su questi corpi planetari», conclude Mitra. «Ogni pianeta è unico e a sé, e non possiamo estrapolare le osservazioni fatte su uno di essi per capire esattamente un pianeta diverso».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Geoscience l’articolo “Formation of manganese oxides on early Mars due to active halogen cycling” di Kaushik Mitra, Eleanor L. Moreland, Greg J. Ledingham & Jeffrey G. Catalano