Da decenni, la comunità astronomica mondiale fugge da città e luoghi densamente abitati, rifugiandosi su isole remote, cime montane e deserti in cerca di cieli bui che permettano di catturare la luce degli astri più fiochi, per scrutare l’universo vicino e lontano e avvicinarsi, un pezzetto alla volta, alla comprensione delle nostre origini cosmiche. Eppure anche questi luoghi sono sempre più rari, incalzati dalla morsa dell’inquinamento luminoso in continua crescita, che non risparmia nemmeno i siti di molti grandi osservatori astronomici.
Un team di ricercatori provenienti da Italia, Cile e Spagna ha analizzato e confrontato i livelli di inquinamento luminoso in prossimità dei principali osservatori di tutto il mondo. Lo studio, guidato da Fabio Falchi dell’Istituto di scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso di Thiene, in provincia di Vicenza, mostra che la luce sta inquinando il cielo sopra la maggior parte degli osservatori, sottolineando l’urgenza di misure per diminuire la contaminazione dei dati astronomici da parte della luce artificiale. Il lavoro è stato pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Secondo lo studio, che presenta i livelli di inquinamento luminoso nei cieli che sovrastano una cinquantina di osservatori in tutto il mondo, solo 7 dei siti che ospitano (o ospiteranno) le 28 maggiori facility astronomiche presenti e future – ovvero quelle dotate di telescopi dal diametro pari o superiore a tre metri – possono vantare un cielo praticamente incontaminato allo zenit, il punto del cielo sulla verticale di chi osserva verso l’alto, con un livello di inquinamento luminoso inferiore all’un per cento della luminosità naturale del cielo.
Il migliore, tenendo conto di questo parametro, è Paranal, in Cile, sede del Very Large Telescope dell’Eso, seguito dal vicino Armazones, dove lo stesso Eso sta costruendo il più grande telescopio al mondo, l’Extremely Large Telescope. Quest’ultimo sito presenta attualmente una fonte di luce antropica molto vicina, ma trattandosi del campo base dei lavoratori che stanno costruendo il gigantesco osservatorio, ci sono buoni motivi per ritenere che si tratta di una struttura temporanea che scomparirà una volta ultimata l’opera. Sempre in Cile, anche il sito dello University of Tokyo Atacama Observatory (Tao) vanta un cielo molto buio, disturbato solo da una fonte di luce che, ironicamente, proviene da un altro osservatorio astronomico, l’Atacama Large Millimeter Array (Alma), che però scruta il cielo a lunghezze d’onda molto più lunghe e non è dunque interessato dall’inquinamento luminoso.
Sono ottimi anche i cieli dove operano il South African Astronomical Observatory e l’Australian Astronomical Observatory, seguiti dalla cima di Mauna Kea, nell’isola di Hawaii, disturbata solo dalla fioca luce rossastra del vicino vulcano Kilauea, e dalla Sierra di San Pedro Martir, in Messico. I restanti 21 siti, che rappresentano i tre quarti di tutti i principali osservatori astronomici del pianeta, presentano tutti inquinamento luminoso al di sopra della soglia prevista.
Accanto alla tradizionale misura della luminosità allo zenit, che tende a essere il punto del cielo meno interessato dall’inquinamento luminoso, lo studio considera anche altri parametri, tra cui la luminosità media a 30 gradi sopra l’orizzonte, la direzione di puntamento più bassa per i telescopi a terra. Secondo questo lavoro, solo un osservatorio dei 28 siti principali – quello dell’Australian Astronomical Observatory – ha un inquinamento luminoso in quella direzione inferiore alla soglia dell’un per cento, mentre due terzi dei siti superano il limite, più rilassato, del dieci per cento, fissato dall’Unione astronomica internazionale negli anni Settanta.
Oltre ai siti dei grandi osservatori, i ricercatori hanno esaminato alcuni siti di osservatori storici dotati di telescopi dal diametro inferiore a 3 metri, tra cui anche quello di Asiago, in Italia, e i siti che ospitano osservatori non professionali. «Il meno contaminato di tutti i siti studiati è un lodge in Namibia che ospita diversi telescopi che vengono affittati agli astrofili per attività visive, di astrofotografia e di ricerca,» ha commentato Falchi. «Ci sono stato di recente e posso confermare che è il sito meno inquinato dalla luce che abbia mai visto. Dobbiamo cercare di ridurre i livelli di inquinamento luminoso negli altri siti per proteggere il futuro dell’astronomia da terra».
E in Italia, come se la passano i siti di Asiago e Loiano, i due maggiori osservatori astronomici sul territorio nazionale? Media Inaf l’ha chiesto alle responsabili degli osservatori.
«L’Altopiano di Asiago ospita fin dal 1942 i maggiori strumenti ottici presenti sul suolo nazionale, gestiti dall’Università patavina e dall’Istituto nazionale di astrofisica – Osservatorio astronomico di Padova», ricorda Lina Tomasella, ricercatrice Inaf a Padova e responsabile dell’Osservatorio di Asiago, in provincia di Vicenza, dove si trova il telescopio Copernico dal diametro di 1,82 metri. «In oltre ottant’anni di attività, gli astronomi che hanno operato e che a tutt’oggi lavorano con i telescopi di Asiago hanno assistito ad un lento, inesorabile peggioramento della qualità del cielo, dovuto ad un costante aumento delle luci sull’altopiano e in Pianura padana».
L’osservatorio, che secondo il lavoro di Falchi e collaboratori presenta una luminosità media a 30 gradi sopra l’orizzonte superiore al 40 per cento della luminosità naturale del cielo, è stato pioniere nella legislazione in materia di inquinamento luminoso nel nostro paese. In corrispondenza di un contenzioso dell’Osservatorio di Asiago con una discoteca locale, provvista di laser che puntavano proprio verso i telescopi a Cima Ekar, impedendo di fatto il lavoro astronomico, la Regione del Veneto è stata la prima in Italia a emanare una legge specifica in materia, ora superata dalla nuova Legge regionale del Veneto N. 17 del 2009 “Nuove norme per il contenimento dell’inquinamento luminoso, il risparmio energetico nell’illuminazione per esterni e per la tutela dell’ambiente e dell’attività svolta dagli osservatori astronomici”.
«La legge attribuisce ai comuni il controllo sul rispetto delle misure stabilite dalla legge stessa, l’intervento nel caso di impianti, anche privati, inquinanti e la stesura di un piano per l’illuminazione, che tenga conto sia del controllo dell’inquinamento luminoso sia del risparmio energetico. Questa legge è il frutto del lavoro sinergico tra Arpav, l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, Veneto Stellato, associazione riconosciuta dalla Regione Veneto che si occupa dello studio e contenimento dell’inquinamento luminoso e gli astronomi dell’Università e dell’Osservatorio, in particolare il dottor Andrea Bertolo dell’Arpav e il professor Sergio Ortolani dell’Università», sottolinea Tomasella. «Nonostante questa legge e il ruolo di Arpav nell’affiancare i comuni per il controllo degli impianti di illuminazione esistenti nel territorio, sia pubblici che privati, e per la corretta progettazione dei nuovi impianti, negli anni passati è spesso mancata la consapevolezza in amministratori e cittadini che intervenire per ridurre l’inquinamento luminoso non significa “spegnere le luci” ma cercare di illuminare le nostre città in maniera più corretta senza danneggiare le persone e l’ambiente e che il cielo stellato, al pari di tutte le altre bellezze della natura, è un patrimonio che deve essere tutelato nel nostro interesse. Qualcosa però sta ora cambiando e questa consapevolezza sta crescendo anche grazie ad amministratori attenti e sensibili a questa tematica, tanto che a fine 2019 Asiago è stato il Comune capofila del progetto europeo Skyscape – Astronomical Tourism: the beauty of the sky as a resource for territories. Il progetto ha avuto come obiettivo la tutela e la valorizzazione del cielo buio sopra l’Altopiano e sono state messe in atto diverse azioni di sensibilizzazione del pubblico a questa tematica. Il Comune di Asiago si è anche dotato di un nuovo Pcil – Piano di contenimento dell’inquinamento luminoso – stilato in collaborazione con l’Arpav».
Anche se non incluso nello studio, l’inquinamento luminoso non risparmia nemmeno Loiano, provincia di Bologna, sede del secondo per dimensioni tra gli osservatori astronomici sul territorio italiano, con il telescopio Cassini, dal diametro di 1,52 metri.
«Certamente anche a Loiano è presente inquinamento luminoso, ma non abbiamo misure recenti», nota Giovanna Stirpe, ricercatrice Inaf a Bologna e responsabile dell’Osservatorio di Loiano. «In Emilia Romagna c’è dal 2000 una legge regionale contro l’inquinamento luminoso, che prevede fra l’altro una zona protetta del raggio di 25 km intorno all’osservatorio di Loiano, in cui valgono restrizioni maggiori sugli impianti di illuminazione esterna pubblici e privati rispetto al resto del territorio (già comunque soggetto a limiti). I comuni della zona protetta sono consapevoli delle restrizioni e in genere collaborativi. In passato abbiamo segnalato alcune palesi violazioni della legge regionale (luci intense accese da privati nei pressi dell’osservatorio) al Comune di Loiano, che è l’autorità competente sul proprio territorio, ricevendo sempre un buon riscontro».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Light pollution indicators for all the major astronomical observatories” di Fabio Falchi, Felipe Ramos, Salvador Bará, Pedro Sanhueza, Marcelo Jaque Arancibia, Guillermo Damke e Pierantonio Cinzano