Quando Voyager 1 diede un primo sguardo a Encelado, nel 1980, era sembrato una piccola “palla di neve”, non molto interessante. Più tardi, tra il 2005 e il 2017, la sonda Cassini scoprì che in realtà lo spesso strato di ghiaccio della luna di Saturno nasconde un vasto e caldo oceano di acqua salata che rilascia (anche) metano, un gas che sulla Terra ha generalmente origine da vita microbica.
Situato a circa 1300 milioni di chilometri dalla Terra, Encelado completa un’orbita attorno a Saturno ogni 33 ore. Sebbene la luna abbia un’estensione di nemmeno 500 chilometri, si distingue visivamente per la sua superficie che, come uno stagno ghiacciato che luccica al sole, riflette la luce come nessun altro oggetto nel Sistema solare. Lungo il polo sud della luna, almeno cento giganteschi pennacchi di gas e grani ghiacciati sbuffano attraverso le crepe del paesaggio, come geyser. La miscela espulsa, in cui è presente per l’appunto anche metano, proviene dalle profondità dell’oceano di Encelado ed è stata campionata dalla sonda Cassini.
Così, la piccola luna di Saturno si è rivelata essere un ottimo candidato per la ricerca della vita extraterrestre nel Sistema solare. In particolare, la modellazione termodinamica dei dati raccolti da Cassini sulla composizione dei pennacchi ha portato all’ipotesi di presunte sorgenti idrotermali sul fondo marino di Encelado nelle quali potrebbe esistere un ecosistema metanogenico idrogenotrofico, ossia un sistema di organismi che svolgono processi anaerobici responsabili della produzione di metano.
In un articolo recentemente pubblicato su The Planetary Science Journal, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Arizona (UArizona) ha quantificato la produzione prevista di biomassa da parte di un tale ecosistema e ne ha valutato la rilevabilità dalla raccolta del materiale del pennacchio. Ciò che gli scienziati hanno scoperto è che, anche se l’ipotetica biosfera nell’oceano di Encelado fosse piccola (inferiore a dieci tonnellate di carbonio), nel pennacchio potrebbero comunque finirci quantità misurabili di cellule e sostanze organiche.
Effettivamente, l’eccesso di metano che Cassini ha rilevato nei pennacchi evoca immagini di ecosistemi straordinari che si trovano nelle profondità buie degli oceani terrestri. Qui, ai bordi di due placche tettoniche adiacenti, il magma caldo sotto il fondale marino riscalda l’acqua dell’oceano in un substrato roccioso poroso, creando sorgenti idrotermali: bocche dalle quali esce acqua di mare calda e satura di minerali. Senza accesso alla luce solare, per guadagnarsi da vivere gli organismi dipendono dall’energia immagazzinata nei composti chimici rilasciati dalle sorgenti idrotermali.
«Sul nostro pianeta, le sorgenti idrotermali brulicano di vita, grandi e piccole, nonostante l’oscurità e la folle pressione», spiega Régis Ferrière, co-autore dell’articolo e professore al dipartimento di ecologia e biologia evoluzionistica dell’UArizona. «Le creature viventi più semplici sono microbi chiamati metanogeni che si alimentano anche in assenza di luce solare».
I metanogeni convertono il diidrogeno e l’anidride carbonica per ottenere energia, rilasciando metano come sottoprodotto. Il gruppo di ricerca di Ferrière ha modellato i suoi calcoli sulla base dell’ipotesi che Encelado abbia metanogeni che abitano le sorgenti idrotermali oceaniche simili a quelli trovati sulla Terra. In questo modo, ha calcolato quale sarebbe la massa totale di metanogeni su Encelado, così come la probabilità che le loro cellule e altre molecole organiche possano essere espulse attraverso i pennacchi.
«Siamo stati sorpresi di scoprire che l’ipotetica abbondanza di cellule equivarrebbe solo alla biomassa di una singola balena nell’oceano globale di Encelado», afferma il primo autore dell’articolo, Antonin Affholder, ricercatore associato presso la UArizona. «La biosfera di Encelado potrebbe essere molto povera. Eppure i nostri modelli indicano che sarebbe abbastanza produttiva da alimentare i pennacchi con molecole o cellule organiche appena sufficienti per essere raccolti dagli strumenti a bordo di un futuro veicolo spaziale».
«La nostra ricerca mostra che se fosse presente una biosfera nell’oceano di Encelado, i segni della sua esistenza potrebbero essere raccolti nel materiale del pennacchio senza la necessità di atterrare o trivellare», riferisce Affholder, «ma una tale missione richiederebbe un orbiter per volare attraverso il pennacchio più volte per raccogliere molto materiale oceanico».
Nel loro studio gli autori hanno dimostrato che per campionare una quantità di materiale del pennacchio che porta a raggiungere una confidenza del 95 percento nei risultati, è necessario raccogliere un quantitativo di materiale non inferiore a 0,1 millilitri. Ciò richiede materiale proveniente da oltre cento passaggi ravvicinati attraverso il pennacchio oppure utilizzando un lander.
Una firma alternativa potrebbe essere l’abbondanza di aminoacidi. In particolare, l’abbondanza assoluta di aminoacidi, come la glicina, potrebbe essere molto istruttiva se si potesse raggiungere una soglia di rilevamento di 1 × 10−7 mol/L.
Complessivamente, i risultati degli autori stabiliscono standard relativamente elevati sul volume del campione e sulle soglie di rilevamento degli aminoacidi, ma questi obiettivi sembrano alla portata delle missioni del prossimo futuro.
A questo proposito esiste già una proposta, Enceladus Orbilander, progettata dal Johns Hopkins Applied Physics Laboratory che prevede una missione che raccolga dati su Encelado atterrando e orbitando attorno a questo corpo celeste a partire dagli anni ’50.
Per saperne di più:
- Leggi su The Planetary Science Journal l’articolo “Putative methanogenic biosphere in Enceladus’s deep ocean: Biomass, productivity, and implications for detection” di Antonin Affholder, François Guyot, Boris Sauterey, Régis Ferrière & Stéphane Mazevet