Se pensate che gli scambi epistolari su controversie scientifiche siano appannaggio di scienziati d’altri tempi, la tormentata vicenda dell’acqua allo stato liquido sotto la superficie di Marte offre un’occasione per ricredersi. C’è o non c’è, questa benedetta acqua? È dall’annuncio della scoperta, riportata su Science nel 2018, che studi a favore si avvicendano a interpretazioni contrarie. Ultimamente la partita si è spostata sulle pagine di Nature Astronomy, e in particolare nella rubrica “Matter Arising” – nome indovinato per uno spazio, appunto, di confronto epistolare su questioni scientifiche in sospeso. La penultima mossa risale al settembre scorso: un’articolata lettera nella quale tre scienziati – Daniel Lalich, Alexander Hayes e l’italiano Valerio Poggiali – del Cornell Center for Astrophysics and Space Science (Ithaca, Usa) smontavano un articolo a favore della presenza di acqua liquida, pubblicato sempre su Nature Astronomy due anni prima. E ieri è arrivata puntuale la risposta della squadra “pro-acqua”, una reply firmata da un team tutto italiano guidato da Sebastian Emanuel Lauro ed Elena Pettinelli dell’Università di Roma Tre.
Cosa dicevano, dunque, Lalich e colleghi? Tutto ruota attorno all’interpretazione dei riflessi radio raccolti sorvolando il Polo sud di Marte dal radar italiano Marsis a bordo della sonda Mars Express dell’Agenzia spaziale europea. Riflessi nei quali gli scienziati italiani del team di Marsis – a partire da Roberto Orosei dell’Inaf, primo autore dell’articolo del 2018 su Science – vedono la firma dell’acqua allo stato liquido. Firma però tutt’altro che inconfondibile, stando ai tre esperti della Cornell: sebbene la possibilità che si tratti d’acqua allo stato liquido sia entusiasmante, scrivevano nella loro lettera del settembre scorso, “qui dimostriamo che riflessi simili possono essere prodotti come risultato naturale dell’interferenza di strati sottili, senza bisogno d’invocare la presenza di acqua liquida o altri materiali rari”.
Semplificando molto, possiamo raffigurarci gli “strati sottili” ai quali si riferiscono gli scienziati della Cornell come una sorta di panino in cui si alternano sottili fette di “pane” – nel loro modello, strati di CO2 (ghiaccio secco) – e uno o due begli “hamburger” (il ghiaccio d’acqua). Ebbene, a seconda dello spessore dei diversi strati e della “conformazione del panino” – due sottili fette di CO2 che ne racchiudono una spessa di ghiaccio d’acqua, oppure una fetta di CO2 e una di ghiaccio soltanto, o ancora tre e due – possono verificarsi particolari interferenze costruttive e distruttive che, nelle giuste condizioni, possono a loro volta dare luogo a riflessi radar molto più luminosi di quanto ci si potrebbe aspettare. Riflessi – sottolineano Lalich e colleghi avvalendosi anche dei dati raccolti sempre su Marte con un altro radar anch’esso italiano, Sharad, a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa – molto simili a quelli osservati da Marsis sotto i depositi polari marziani meridionali. Senza necessità, appunto, di dover ipotizzare la presenza di acqua liquida, o salamoia. Insomma, se confezionato nel modo giusto, quel “panino” di ghiaccio secco e ghiaccio d’acqua potrebbe ingannare, e al “morso” del radar dare l’impressione che si tratti d’acqua allo stato liquido.
«Effettivamente, simulando la risposta di alcune configurazioni di strati di ghiaccio e CO2 alle singole frequenze si può osservare che riflettono il segnale come lo farebbe l’acqua, è vero. Ma questo avviene solo per alcuni spessori molto precisi dei vari strati», spiega a Media Inaf il primo autore della risposta pubblicata ieri su Nature Astronomy, Sebastian Emanuel Lauro dell’Università di Roma Tre. «Spessori che variano a seconda della frequenza – e quindi della lunghezza d’onda. Detto altrimenti, data una certa configurazione del “panino”, il fenomeno – detto di interferenza costruttiva – può presentarsi solo a una delle tre frequenze di Marsis. Non per tutt’e tre. Ecco dunque che analizzando contemporaneamente i dati di tutte e tre le frequenze l’ambiguità sparisce, e diventa possibile discriminare fra il riflesso dell’acqua liquida e quello di strati di ghiaccio e CO2».
Le tre frequenze citate da Lauro sono quelle di 3 MHz, 4 MHz e 5 MHz: per dare risposte ingannevoli, richiederebbero ciascuna un “panino” diverso. Ma quello “addentato” da Marsis è ogni volta lo stesso per tutt’e tre, dunque l’obiezione del team della Cornell verrebbe a cadere. Senza contare che le rilevazioni sono avvenute in un lungo arco di tempo, con l’alternarsi di varie stagioni marziane, e da diverse orbite: una conformazione di strati paralleli di CO2 su una grande estensione e perfettamente piani, come quella che potrebbe produrre i riflessi ingannevoli, non sembrerebbe dunque molto plausibile.
Sarà sufficiente a convincere il team di Lalich? Probabilmente no. «In generale, pensiamo che avere tre frequenze porti certamente un beneficio, e qualsiasi sia l’ipotesi che venga proposta questa deve essere congruente con le osservazioni fatte a ogni frequenza. Senza andare troppo nel dettaglio tecnico del paper, noi non crediamo che le differenze fra le varie frequenze possano essere spiegate soltanto dall’attenuazione», dice interpellato da Media Inaf Valerio Poggiali, uno dei tre scienziati della Cornell. «Su più larga scala, le osservazioni seguono mediamente, e come previsto, un comportamento dipendente dalla frequenza. Ma la variabilità fra le osservazioni è enorme, specialmente su più piccola scala o su scala regionale, e in più ci sono molte zone dove la relazione attesa fra le varie frequenze non si verifica o addirittura risulta invertita. Quel tipo di variabilità non può certo essere spiegata dalla sola attenuazione».
Su almeno un punto però i due team sono in sintonia: Mars Express non deve andare in pensione. Ed è un punto quanto mai d’attualità. Nelle prossime settimane, infatti, l’Esa dovrà decidere se estendere o meno la missione – lanciata quasi vent’anni fa, nel giugno 2003 – al periodo 2023-2025. Poiché nell’aria c’è pessimismo sull’esito della decisione, la settimana scorsa è stato messo in rete un appello, firmato già da quasi ottocento scienziati, a favore dell’estensione.
Tra le ragioni a sostegno della scelta c’è anche l’apporto che Mars Express ancora può dare alla soluzione della diatriba dell’acqua. «Ci permetterebbe di continuare a cercare se ci sono altre zone altamente riflettenti», spiega Lauro, «altre regioni che potremmo associare alla presenza di acqua al di sotto del ghiaccio. Dunque sì, sarebbe molto importante, perché ci consentirebbe di raccogliere più dati».
E il team della Cornell non è da meno. «Anche se forse non l’avremmo scritta proprio così, in generale siamo d’accordo e aggiungeremo i nostri nomi a supporto della lettera. Questa è una delle questioni al momento più dibattute e più importanti per la ricerca su Marte», conclude Poggiali riferendosi alla presenza o meno di acqua allo stato liquido nel sottosuolo, «e oggi come oggi Mars Express è l’unica [missione, ndr] che può effettuare questo tipo di osservazioni dirette. Se vogliamo capire cosa si trova alla base del South Polar Layer Deposit abbiamo bisogno di Mars Express».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Reply to: Explaining bright radar reflections below the south pole of Mars without liquid water”, di Sebastian Emanuel Lauro, Elena Pettinelli, Graziella Caprarelli, Luca Guallini, Angelo Pio Rossi, Elisabetta Mattei, Barbara Cosciotti, Andrea Cicchetti, Francesco Soldovieri, M. Cartacci, F. Di Paolo, R. Noschese e R. Orosei
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Explaining Bright Radar Reflections Below The South Pole of Mars Without Liquid Water”, di D. E. Lalich, A. G. Hayes e V. Poggiali