Gli astronomi la chiamano “epoca della reionizzazione”. È quel periodo della storia iniziale dell’universo in cui agli atomi neutri – essenzialmente atomi di idrogeno, un gas neutro che assorbe i fotoni, rendendo l’universo “oscuro” – vengono strappati gli elettroni, riportandoli così alla condizione in cui si trovavano nelle primissime centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang, con elettroni e protoni non ancora accoppiati. Reionizzandoli, appunto. E facendo così emergere l’universo dall’età oscura – togliendogli il velo, potremmo dire – e inaugurando l’alba cosmica: l’inizio di una condizione di trasparenza che dura tutt’ora. Alba sorta nel corso delle prime centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang.
Ma quando e in che modo, esattamente? E com’erano fatte le stelle e le galassie primordiali che popolavano l’universo a quell’epoca? Sono alcune fra le grandi domande dell’astrofisica contemporanea. La risposta sta tutta in una riga: la riga spettrale a 21 cm (corrispondente a una frequenza di 1420 MHz) dell’idrogeno neutro. Corrisponde alla lunghezza d’onda della luce che l’idrogeno neutro assorbe ed emette durante la cosiddetta transizione iperfine, quando gli spin dell’elettrone e del protone passano da paralleli ad antiparalleli. Avendo perso il suo unico elettrone, l’idrogeno ionizzato non assorbe né emette a questa frequenza: è una prerogativa dell’idrogeno neutro. Ecco dunque che la presenza o meno della riga a 21 cm diventa una sorta di linea di demarcazione fra età oscura e alba cosmica. La firma della reionizzazione, appunto.
Una firma molto difficile da riconoscere: il segnale da estrarre ha un’intensità un milione di volte inferiore a quella del rumore radio che permea i dintorni della Terra. Un decisivo passo avanti lo promette il progetto Hera, acronimo non caso di “Hydrogen Epoch of Reionization Array”: una schiera di 350 radiotelescopi installati in Sud Africa, nel deserto del Karoo, sintonizzati proprio sulla frequenza dell’idrogeno neutro. In un articolo in uscita su The Astrophysical Journal, il team di Hera annuncia di aver raddoppiato la sensibilità dell’array, che nonostante l’apparenza spartana – le antenne sono fatte di rete metallica tipo quella per le gabbie per polli, avvolta attorno a tubi in Pvc e sostenute da pali di legno – era già il radiotelescopio più sensibile al mondo per lo studio della reionizzazione. A partire dal prossimo autunno, data prevista per avere tutte le 350 antenne radio online e calibrate, il team tenterà di produrre una mappa 3D delle bolle di idrogeno ionizzato e neutro in fase di evoluzione, dunque nel periodo che va da circa 200 milioni di anni a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. L’auspicio è che una tale mappa possa aiutare a ricostruire l’aspetto delle prime stelle, delle prime galassie e – in generale – dell’universo nella sua adolescenza.
Alcuni risultati preliminari – ottenuti fra il 2017 e il 2018, usando solo 40 antenne, nel corso di 94 notti osservative – stanno però già emergendo. Il fatto, per esempio, che il team di Hera non abbia ancora rilevato bolle d’idrogeno ionizzato all’interno dell’idrogeno neutro permette di escludere alcune teorie sui processi di evoluzione stellare nell’universo primordiale. «I nostri risultati implicano che già prima della reionizzazione, e fino a 450 milioni di anni dopo il Big Bang, il gas intergalattico sia stato riscaldato dai raggi X. Raggi X emessi probabilmente da sistemi binari con una stella che perdendo massa a favore di un buco nero compagno», dice il primo autore dello studio, Joshua Dillon, dell’Università della California a Berkeley. «Se è così, quelle stelle dovevano avere una “metallicità” molto bassa, contenere cioè – rispetto per esempio al Sole – pochissimi elementi oltre a idrogeno ed elio. Il che ha senso, visto che stiamo parlando di un’epoca precedente a quella della formazione della maggior parte degli altri elementi».
E perché proprio sistemi binari? «La radiazione emessa dalle stelle singole come il Sole viene dalle reazioni nucleari che avvengono al suo interno e ha un tipico spettro termico, o di “corpo nero”, con un picco di emissione che avviene tipicamente nella banda infrarossa-ottica o ultravioletta e che decade velocemente al di fuori di questo intervallo di lunghezze d’onda. Le stelle singole non emettono quindi praticamente nessuna radiazione nella banda X. La radiazione X», spiega a Media Inaf uno dei coautori dello studio, il radioastronomo Gianni Bernardi dell’Istituto nazionale di astrofisica, «viene prodotta, nel contesto astrofisico, da fenomeni di accrescimento, soprattutto attorno a oggetti compatti come stelle di neutroni e buchi neri. Quindi in sistemi binari evoluti – cioè quelli in cui una delle due componenti è una stella ma l’altra componente lo era nel passato ed è poi divenuta un oggetto collassato, come una stella di neutroni o un buco nero – può accadere che la stella perda materia a favore dell’oggetto compagno, solitamente in un disco che viene, appunto, chiamato “disco di accrescimento”. In questo processo parte dell’energia gravitazionale della materia “accresciuta” viene convertita in energia elettromagnetica molto energetica, tipicamente raggi X».
E sarebbero stati, appunto, questi raggi X prodotti da sistemi binari a “scaldare” l’idrogeno neutro al punto da consentire la formazione delle prime bolle ionizzate in modo compatibile con ciò che Hera sta mostrando. Facendo un’analogia con un formaggio (il gas neutro) svizzero con i buchi, ciò che il team di Hera ha scoperto – con la mancata rilevazione delle bolle – è che il “formaggio” dev’essere effettivamente stato preriscaldato. «I raggi X sono in grado di riscaldare efficacemente l’intero blocco di formaggio prima che si formino i buchi. E quei buchi», conclude Dillon, «sono le parti ionizzate».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal “Improved Constraints on the 21 cm EoR Power Spectrum and the X-Ray Heating of the IGM with HERA Phase I Observations”, della Hera Collaboration