L’irraggiamento solare totale, ovvero l’emissione di energia luminosa dal Sole che raggiunge la Terra, influenza l’atmosfera terrestre su scale temporali che vanno dai giorni ai millenni. Avvalendosi dei dati storici relativi all’isotopo del carbonio-14 negli ultimi 500 anni, un team di scienziati dell’Università di Roma Tor Vergata e del National Solar Observatory (Usa) ha ricostruito l’area di Sole coperta dalle facole e dalle macchie solari dal 1513 al 2001. Il risultato, pubblicato lo scorso settembre su The Astrophysical Journal, offre agli scienziati uno sguardo senza precedenti su come sia cambiato l’irraggiamento solare su una lunga scala temporale e su come possa aver influenzato gli eventi climatici della Terra.
Per oltre 4,5 miliardi di anni, la Terra ha ricevuto energia dal Sole. L’irradianza solare totale (Tsi, dall’inglese total solar irradiance) non è costante: subisce gli effetti dei campi magnetici sulla superficie del Sole. Le facole (strutture magnetiche concentrate, che producono luce brillante) aumentano la Tsi, mentre le macchie solari (strutture magnetiche più grandi, più fredde e più scure) riducono la Tsi. Conoscere l’area coperta da queste strutture aiuta gli scienziati a stimare i livelli di irraggiamento solare nel tempo.
Le variazioni recenti della Tsi sono state monitorate dallo spazio a partire dagli anni ’70. Per una stima delle variazioni nel corso di secoli, o millenni, è invece necessario fare ricorso a misure delle concentrazioni di isotopi d’origine cosmica presenti negli anelli degli alberi e nelle carote di ghiaccio – in particolare, il carbonio-14 e il berillio-10.
Oltre alle particelle provenienti dal Sole, la Terra è continuamente colpita dai raggi cosmici galattici (Gcr, dall’inglese galactic cosmic rays) provenienti da sorgenti al di fuori del Sistema solare. Quando i Gcr colpiscono la parte alta dell’atmosfera terrestre, producono una cascata di particelle che dà origine a isotopi cosmogenici. Il carbonio-14 è un sottoprodotto di questa interazione: si forma continuamente in natura, lo si trova negli alberi in crescita e nelle lastre di ghiaccio, e ha un’emivita di durata notevole – ben 5370 anni. L’abbondanza del carbonio-14 nei sedimenti o negli anelli degli alberi e la lunga durata della sua emivita ne fanno un indicatore molto importante per studiare l’attività solare su lunga scala attraverso la misura di phi, il cosiddetto potenziale solare. Si tratta di un parametro utilizzato per realizzare modelli della modulazione dello spettro energetico dei raggi cosmici galattici, e varia in funzione dell’attività solare – sia perché segue una possibile tendenza a lungo termine sia perché è modulato dal ciclo solare, risultando alto o basso in corrispondenza, rispettivamente, dei massimi e dei minimi solari.
Analizzando dati relativi al carbonio-14 negli ultimi 500 anni, gli autori dello studio sono riusciti a ricostruire l’area di Sole coperta da facole e macchie solari dal 1513 al 2001. Un risultato ottenuto calcolando la correlazione fra una porzione delle serie temporali sull’abbondanza di carbonio-14 con le misure effettive dell’area coperta dalle facole e dalle macchie solari, ed estrapolando poi i risultati per completare la ricostruzione delle misure di queste aree fino al 1513. Le aree coperte dalle macchie solari e dalle facole così ricostruite hanno infine permesso di stimare la Tsi per l’intero periodo.
«La ricostruzione delle variazioni dell’irradianza totale emessa dal Sole nei secoli passati», spiega la prima autrice dello studio, Valentina Penza, ricercatrice all’Università di Roma Tor Vergata, «rappresenta un tassello fondamentale per la comprensione di possibili collegamenti tra la variabilità del Sole e cambiamenti climatici locali o globali sul nostro pianeta. Questi meccanismi sono spesso chiamati in causa per quei periodi in cui l’attività magnetica solare risulta essere stata estremamente attenuata, come il famoso minimo di Maunder, nella seconda metà del XVII secolo».
La variazione dei livelli di Tsi tra il minimo di Maunder e l’epoca attuale, stando alle stime di Penza e colleghi, è risultata attorno ai 2,5 watt per metro quadrato. Una variazione di questa portata modificherebbe le temperature globali di circa 0,13 °C, dunque una quantità piuttosto modesta. Un risultato a sostegno dell’ipotesi che la Piccola era glaciale non sia stata un fenomeno di raffreddamento globale, ma piuttosto un raffreddamento medio regionale moderato, che comprendeva la regione europea.
«Riuscire a stimare le variazioni secolari dell’irradianza solare totale, soprattutto se includono il minimo solare di Maunder», concludono Luca Bertello e Serena Criscuoli, ricercatori al National Solar Observatory e coautori dello studio, «è estremamente importante per comprendere meglio i meccanismi di interazione tra la nostra stella e l’atmosfera del pianeta in cui viviamo».
Fonte: press release del National Solar Observatory
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Total Solar Irradiance during the Last Five Centuries”, di V. Penza, F. Berrilli, L. Bertello, M. Cantoresi, S. Criscuoli e P. Giobbi