Un corpo celeste remotissimo, che si trova in un universo ancora giovane, grande un sesto di quello attuale. Un oggetto talmente oscuro da risultare quasi invisibile anche a strumentazioni raffinatissime. La sua natura è stata a lungo dibattuta ma ora, grazie alle rilevazioni fatte con l’interferometro Alma, il gruppo di ricerca in formazione ed evoluzione delle galassie della Sissa guidato dal professor Andrea Lapi è finalmente riuscito a identificarne le caratteristiche principali. Compatta, con un grande contenuto di polvere interstellare, è una galassia ancora giovane, che sta formando le sue stelle a un ritmo circa mille volte più rapido di quello della Via Lattea. La sua descrizione potrà essere molto utile per saperne di più su questo lontanissimo oggetto, offrendo nuovi approcci per lo studio di altri corpi celesti “oscuri”. La ricerca, appena apparsa su The Astrophysical Journal, potrà inoltre fornire nuovi spunti per formulare modelli avanzati di formazione ed evoluzione galattica.
Remote, oscure e preziose: le galassie più lontane
«Le galassie molto distanti sono delle vere e proprie miniere di informazione sull’evoluzione passata e futura del nostro universo», spiega la prima autrice dello studio, Marika Giulietti, studentessa di Ph.D in astrofisica e cosmologia alla Sissa. «Il loro studio, però, è molto impegnativo. Sono infatti oggetti molto compatti e quindi difficili da osservare. Inoltre, a causa della distanza, la luce che emettono è assai debole. La causa di questo “oscuramento” è la massiccia presenza di polvere interstellare, che intercetta la luce di stelle giovani nel visibile rendendone difficile la rilevazione con strumenti ottici, e la riemette a lunghezze maggiori dove può essere osservata solo grazie a potenti interferometri nelle bande (sub-)millimetriche e radio».
Questi corpi oscuri non sono in realtà così rari. «Negli ultimi anni», ricorda Giulietti, «si è scoperta la presenza di diverse galassie distanti particolarmente oscurate, tanto da apparire completamente invisibili anche alle strumentazioni ottiche più potenti come il telescopio spaziale Hubble».
Il lensing gravitazionale
Uno strumento che viene usato in questi casi è il cosiddetto lensing gravitazionale, una soluzione offerta dalla fisica con un grande potenziale scientifico. Il principio è semplice: oggetti spaziali dotati di grande massa e più vicini a noi, per i principi della relatività generale, distorcono la luce preveniente da sorgenti posizionate dietro questi stessi oggetti ma con essi perfettamente allineati. «In questo modo», continua Giulietti, «i grandi corpi celesti funzionano come una sorte di grandissima lente cosmica che fa risultare le galassie “di fondo” più grandi ma anche più luminose, permettendo così di trovarle e studiarle». Nell’ultimo decennio sono state condotte molte campagne osservative utilizzando questo approccio. «Fino a oggi ne sono stati scoperti circa un centinaio, ma potrebbero essere molti di più».
Un oggetto davvero speciale
Proprio in una di queste indagini, racconta Giulietti, è stata individuato l’oggetto protagonista di questo studio. «Questo corpo celeste era molto particolare. Sebbene potenzialmente soggetto al fenomeno di lensing e molto brillante, probabilmente a causa della grande quantità di polvere interstellare, lo è solo in alcune precise lunghezze d’onda. Questo rende la sua indagine molto complessa. Grazie alle rilevazioni fatte da Alma, un interferometro submillimetrico modernissimo che si trova nel deserto di Atacama, in Cile, siamo riusciti a definirne le caratteristiche. Nel nostro lavoro abbiamo studiato questo oggetto peculiare adottando dei codici particolari che consentono di ricostruire la forma originale della sorgente di fondo e anche di capire alcune proprietà della lente stessa. Le osservazioni hanno inoltre fornito preziose informazioni sul contenuto di gas di questa sorgente: siamo riusciti così a ricostruire anche come questo è distribuito. Dalla nostra analisi è emerso che questo oggetto è molto compatto, presumibilmente giovane e sta formando a stelle a un ritmo estremamente elevato. In futuro, si potrà scoprire molto di più su questa galassia grazie al telescopio spaziale James Webb, che è a oggi l’unico in grado di portarlo alla luce».
«Galassie distanti caratterizzate da vigorosa formazione stellare, una giovane età, un forte oscuramento da polvere, un ricchissimo serbatoio di gas molecolare e dimensioni compatte», conclude Andrea Lapi, coautore della ricerca, sottolineando l’importanza di questo studio, «costituiscono i progenitori delle galassie massive quiescenti che osserviamo nell’universo locale, e perciò forniscono indicazioni molto preziose sui processi in-situ e sulle modalità di formazione ed evoluzione di queste strutture durante la storia del cosmo».
«Mi preme inoltre sottolineare», continua il professore, «come il successo di questa ricerca sia stato ottenuto grazie alla sinergia tra il Gruppo di astrofisica e cosmologia della Sissa e l’Alma Regional Center con sede presso l’Inaf – Istituto di radioastronomia a Bologna (in particolare attraverso la collaborazione con la dottoressa Marcella Massardi, coautrice dello studio), che ha permesso ai nostri allievi di accedere e imparare a utilizzare efficacemente l’archivio dati di Alma, una vera e propria miniera d’ oro per l’odierna ricerca in astrofisica».
Fonte: comunicato stampa della Sissa
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “ALMA resolves the first strongly-lensed Optical/NIR-dark galaxy”, di M. Giulietti, A. Lapi, M. Massardi, M. Behiri, M. Torsello, Q. D’Amato, T. Ronconi, F. Perrotta e A. Bressan