È stato un appuntamento planetario: due sonde spaziali in sorvolo su Venere a un giorno di distanza l’una dall’altra. È accaduto nell’agosto 2021. È stata una circostanza senza precedenti. E ha offerto la possibilità di raccogliere elementi nuovi per capire come il pianeta sia in grado di mantenere la sua spessa atmosfera in assenza della protezione di un campo magnetico endogeno.
La missione BepiColombo di Esa e Jaxa, in viaggio per studiare Mercurio, e la sonda Solar Orbiter di Esa e Nasa, che sta osservando il Sole da diverse prospettive, s’avvalgono entrambe dell’assist gravitazionale offerto da Venere per modificare le proprie traiettorie e instradarsi lungo il percorso corretto. Il 9 e il 10 agosto 2021 le due missioni hanno compiuto un flyby di Venere ad appena 33 ore l’una dall’altra, inviando a terra osservazioni acquisite in sinergia da otto sensori e da due diversi punti di osservazione nello spazio. I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications lo scorso dicembre.
A differenza della Terra, il nucleo di Venere non genera un campo magnetico. Tuttavia, intorno al pianeta si viene a creare una debole “magnetosfera indotta”, a forma di cometa, dall’interazione del vento solare – un flusso di particelle cariche emesse dal Sole – con le particelle elettricamente cariche nell’atmosfera superiore di Venere. Intorno a questa bolla magnetica, il vento solare viene rallentato, riscaldato e deviato – come la scia di una barca – in una regione chiamata magnetoguaina.
Durante il flyby, BepiColombo è calato in picchiata sulla lunga coda della magnetoguaina, come illustrato dall’infografica qui sotto, ed è emerso attraverso le regioni magnetiche più vicine al Sole. Nel frattempo Solar Orbiter, posizionato proprio di fronte a Venere, approfittava della presenza d’un pacifico vento solare per raccogliere dati.
«Queste due serie di osservazioni sono particolarmente preziose perché le condizioni di vento solare sperimentate da Solar Orbiter erano molto stabili. Ciò significa che BepiColombo ha avuto una visione perfetta delle diverse regioni all’interno della magnetosfera e della magnetosfera, senza disturbi dovuti alle fluttuazioni dell’attività solare», spiega la prima autrice dello studio, Moa Persson, dell’Università di Tokyo.
Il flyby di BepiColombo ha offerto la rara opportunità di studiare la cosiddetta “regione di stagnazione”, una regione all’estremità della magnetosfera nella quale è possibile osservare alcuni fra gli effetti principali dell’interazione tra Venere e il vento solare. I dati raccolti hanno fornito la prima prova sperimentale del fatto che, in questa regione, le particelle cariche sono rallentate in modo significativo dalle interazioni tra il vento solare e il pianeta, e che la regione si estende a una distanza inaspettatamente grande: 1900 chilometri al di sopra della superficie di Venere.
Le osservazioni hanno anche mostrato che la magnetosfera indotta fornisce una barriera stabile, in grado di protegge l’atmosfera di Venere dall’erosione del vento solare. Una protezione che permane anche durante il minimo solare, quando – a seguito della ridotta emissione ultravioletta dal Sole – la forza delle correnti che generano la magnetosfera indotta cala. Una scoperta che va in senso opposto rispetto alle previsioni precedenti, e che getta nuova luce sul legame tra i campi magnetici e la perdita di atmosfera dovuta al vento solare, con implicazioni anche per quanto riguarda lo studio dell’abitabilità di esopianeti privi di un campo magnetico endogeno.
«Un ruolo fondamentale in questo studio lo ha avuto il sensore Mipa di Serena, montato sul modulo Mpo di BepiColombo», sottolinea Anna Milillo dell’Istituto nazionale di astrofisica, responsabile del progetto Search for Exospheric Refilling and Emitted Natural Abundances (il cui acronimo è, appunto, Serena) a bordo di BepiColombo, nonché interdisciplinary scientist della missione Esa/Jaxa. «Mipa ha infatti osservato le popolazioni di ioni provenienti da una direzione diversa rispetto a quella dei sensori a bordo dell’altro modulo, Mio, permettendo di capire come fluiscono intorno alla magnetosfera indotta di Venere. Tra l’altro, anche Picam – il secondo sensore di ioni dell’esperimento Serena – era operativo, ed era l’unico che ha effettuato misure di massa degli ioni».
«Questo lavoro dimostra come per lo studio dell’interazione tra il vento solare e gli ambienti planetari sia fondamentale avere osservazioni coordinate di più sensori a bordo di un medesimo satellite e anche con diverse sonde in diversi punti del Sistema solare», conclude Valeria Mangano, anche lei ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma, co-investigator scientifico dello strumento Serena e coordinatrice del Venus flybys working group Esa per BepiColombo. «Una volta a Mercurio tutti questi sensori saranno distribuiti su due diversi spacecraft in due orbite diverse, e quindi sarà ancora più interessante analizzare le misure coordinate. Inutile dire che non vediamo l’ora».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “BepiColombo mission confirms stagnation region of Venus and reveals its large extent”, di M. Persson, S. Aizawa, N. André, S. Barabash, Y. Saito, Y. Harada, D. Heyner, S. Orsini, A. Fedorov, C. Mazelle, Y. Futaana, L. Z. Hadid, M. Volwerk, G. Collinson, B. Sanchez-Cano, A. Barthe, E. Penou, S. Yokota, V. Génot, J. A. Sauvaud, D. Delcourt, M. Fraenz, R. Modolo, A. Milillo, H.-U. Auster, I. Richter, J. Z. D. Mieth, P. Louarn, C. J. Owen, T. S. Horbury, K. Asamura, S. Matsuda, H. Nilsson, M. Wieser, T. Alberti, A. Varsani, V. Mangano, A. Mura, H. Lichtenegger, G. Laky, H. Jeszenszky, K. Masunaga, C. Signoles, M. Rojo e G. Murakami