Sono passati cinque giorni dallo storico accordo per il primo trattato internazionale a protezione dell’alto mare, quello che a oltre 200 miglia nautiche dalle coste esula dalle giurisdizioni nazionali e rappresenta i due terzi degli oceani. Il contenuto, concordato dai Paesi membri dell’Onu dopo un processo durato 20 anni, non è ancora stato reso noto ma tutti hanno accolto l’intesa come una svolta storica e decisiva per l’attuazione dell’impegno preso alla conferenza Onu di dicembre sulla biodiversità, per proteggere un terzo dei mari (e delle terre) entro il 2030.
Cosa c’entra il mare con lo spazio, direte.
Come il mare aperto, anche lo spazio attualmente esula dalle giurisdizioni nazionali e il suo attuale sfruttamento non lascia presagire nulla di buono, così come 20 anni fa si poteva intuire per il mare. Si prevede che entro il 2030 il numero di satelliti in orbita aumenterà dagli attuali 9mila a oltre 60mila, con stime che suggeriscono che ci siano già più di 100mila miliardi di pezzi non tracciati di vecchi satelliti che girano intorno al pianeta. Sebbene la tecnologia satellitare venga utilizzata per fornire una vasta gamma di benefici sociali e ambientali, si teme che la crescita prevista del settore possa rendere inutilizzabile gran parte dell’orbita terrestre.
In una lettera pubblicata ieri sulla rivista Science, una collaborazione internazionale di esperti in vari campi ha chiesto un trattato legalmente vincolante per garantire che lo spazio orbitale intorno alla Terra non sia irreparabilmente danneggiato dalla futura espansione dell’industria spaziale. Si tratta di ricercatori della Università di Plymouth, Arribada Initiative, Università del Texas ad Austin, California Institute of Technology, Jet Propulsion Laboratory della Nasa, Spaceport Cornwall e la Zoological Society of London. Tra gli autori c’è anche l’accademico che ha condotto il primo studio in assoluto sulle microplastiche marine, anch’esso pubblicato su Science quasi 20 anni fa, e gli scienziati che hanno contribuito a sviluppare il Trattato globale sulla plastica firmato da 170 leader mondiali all’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente nel marzo 2022.
Gli autori della lettera riconoscono che un certo numero di industrie e paesi stanno iniziando a concentrarsi sulla sostenibilità dei satelliti, ma affermano che un tale accordo dovrebbe essere globale, applicato per includere qualsiasi nazione con piani per utilizzare al meglio l’orbita terrestre. Qualsiasi accordo, aggiungono, dovrebbe includere misure per implementare la responsabilità del produttore e degli utenti per satelliti e detriti, dal momento del lancio in avanti. Tali considerazioni sono in linea con le attuali proposte per affrontare l’inquinamento da plastica degli oceani. Gli esperti ritengono inoltre che, a meno che non si intervenga immediatamente, gran parte delle immediate vicinanze del nostro pianeta rischiano lo stesso destino dell’alto mare, dove la mancata governance ha portato alla pesca eccessiva, alla distruzione dell’habitat, all’esplorazione mineraria in acque profonde e all’inquinamento da plastica.
«La questione dell’inquinamento da plastica e molte altre sfide che il nostro oceano deve affrontare stanno ora attirando l’attenzione globale. Tuttavia, l’azione collaborativa è stata limitata e l’attuazione è stata lenta. Ora ci troviamo in una situazione simile con l’accumulo dei detriti spaziali. Prendendo in considerazione ciò che abbiamo imparato dall’alto mare, possiamo evitare di commettere gli stessi errori e lavorare collettivamente per prevenire una tragedia dei beni comuni nello spazio. Senza un accordo globale potremmo trovarci su un percorso simile», afferma Imogen Napper, ricercatrice dell’Università di Plymouth.
«I satelliti sono vitali per la salute, le economie, la sicurezza e la Terra stessa. Tuttavia, l’utilizzo dello spazio a beneficio delle persone e del pianeta è a rischio. Confrontando il modo in cui abbiamo trattato i nostri mari, possiamo essere proattivi prima di danneggiare l’uso dello spazio per le generazioni future. L’umanità deve assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti nello spazio ora, non più tardi. Incoraggio tutti i leader a prenderne atto, a riconoscere l’importanza di questo prossimo passo e a diventare responsabili congiuntamente», continua Melissa Quinn dello Spaceport Cornwall.
«Ho trascorso la maggior parte della mia carriera lavorando sull’accumulo di rifiuti di plastica nell’ambiente marino, sul danno che può portare e le potenziali soluzioni», conclude Richard Thompson dell’Università di Plymouth. «È molto chiaro che gran parte dell’inquinamento che vediamo oggi avrebbe potuto essere evitato. Eravamo ben consapevoli del problema dell’inquinamento da plastica un decennio fa e, se avessimo agito, la quantità di plastica nei nostri oceani potrebbe essere la metà di quella attuale. Andando avanti dobbiamo assumere una posizione molto più proattiva per aiutare a salvaguardare il futuro del nostro pianeta. Molto di ciò che abbiamo imparato dagli errori commessi nei nostri oceani è rilevante per l’accumulo di detriti nello spazio».
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’editoriale “Protect Earth’s orbit: Avoid high seas mistakes”