L’osservatorio Vera C. Rubin è attualmente in costruzione nella località di Cherro Pachon, nel nord del Cile. Dotato di uno specchio primario di 8.4 metri, il telescopio è progettato per monitorare per ben dieci anni tutto il cielo osservabile da quella posizione in sei filtri che coprono tutta la banda ottica, più parte dell’ultravioletto (filtro u) e infrarosso (filtro y). Questa campagna osservativa (Legacy Survey of Space and Time, Lsst) rivoluzionerà diversi campi dell’astrofisica: dallo studio dei transienti e stelle variabili, alla scienza galattica e alla cosmologia. Il progetto principale di Rubin Lsst è la Wide-Fast-Deep survey, che prevede un monitoraggio di ben 18mila gradi quadrati, equivalente a 40 volte le dimensioni della Luna piena, consentendo di coprire l’intero cielo in sole 3 notti di cielo con un mosaico di osservazioni ripetute ciascuna di 30 secondi per filtro. In media, ogni campo del mosaico sarà osservato per 825 volte. Uno degli aspetti più innovativi di Rubin Lsst è costituito dalla camera, che ha dimensioni di una grande automobile, e contiene 3.2 miliardi di pixel, producendo circa 20 terabytes di dati da processare e archiviati ogni singola notte di osservazione.
Un simile progetto richiede un lungo e intenso lavoro di progettazione e preparazione sia tecnico che scientifico. Un team di ricercatori dell’Inaf di Palermo, pesantemente coinvolto in questo progetto dal 2017, ha recentemente pubblicato due studi che presentano l’ottimizzazione delle osservazione del Vera Rubin Observatory per due casi scientifici specifici: lo studio della variabilità nelle stelle giovani e una campagna osservativa profonda delle stelle giovani nel piano galattico.
Il primo studio – descritto, insieme allo sviluppo di modelli 3D per l’accessibilità a ricercatrici e ricercatori ipovedenti, in un articolo pubblicato questo mese su The Astrophysical Journal Supplement Series – è guidato dall’astrofisica Rosaria Bonito (Inaf di Palermo), coordinatrice (co-chair) della “Transient and Variable Stars Science Collaboration” di Rubin Lsst. In esso è descritto come la cadenza delle osservazioni del Vera Rubin possa essere ottimizzata per lo studio dei fenomeni variabili nelle stelle giovani, ossia stelle con pochi milioni di anni di vita.
Queste stelle, infatti, sono caratterizzate dalla presenza di dischi di gas e polveri, chiamati dischi protoplanetari. Per un periodo tipicamente inferiore ai 3 milioni di anni, parte del gas presente nel disco accresce sulla stella con dei tassi di accrescimento, tipicamente variabili nel tempo, che si aggirano tra un miliardesimo e un decimiliardesimo di masse solari per anno. In più, il materiale attorno alla stella associato al disco può essere origine di un assorbimento (in gergo, “estinzione”) variabile della radiazione stellare a causa di disomogeneità presenti nel disco stesso. Come dimostrato in questo studio, questi processi possono essere studiati da Rubin Lsst con una cadenza molto fitta di osservazioni (oltre cento in una settimana) di una regione di formazione stellare ricca di stelle giovani. La prima regione proposta per questo studio è la Nebulosa della Carena, la quale, grazie alle capacità del Vera Rubin Observatory, offre l’occasione unica di studiare la variabilità in un campione estremamente ricco di stelle giovani (alcune decine di migliaia di stelle).
«L’uso dei futuri dati di Vera C. Rubin Observatory Lsst permetterà di esplorare tutti i tempi scala caratteristici della variabilità osservata negli oggetti stellari giovani», dice Bonito, «sfruttando sia l’intera durata della survey, di circa dieci anni, che approfondendo le scale temporali più brevi, dell’ordine di ore. In questo modo si potrà ottenere una descrizione completa dei processi fisici in atto in sistemi così complessi: dalla rotazione stellare all’attività magnetica e ai brillamenti, dagli eventi di accrescimento di massa alla presenza di deformazioni del disco circumstellare».
Il secondo articolo, pubblicato anch’esso questo mese su The Astrophysical Journal Supplement Series e guidato dall’astrofisica Loredana Prisinzano (sempre dell’Inaf di Palermo) – dimostra invece le potenzialità di Rubin Lsst nell’esplorare la popolazione di stelle giovani di piccola massa della Via Lattea fino ad una “profondità” (intesa, in questo contesto, come capacità di osservare stelle nel piano galattico a distanze molto grandi da noi) mai raggiunta finora. La maggior parte degli studi esistenti sulla popolazione stellare giovane della Via Lattea, infatti, si limita ad una regione vicina al Sole (più o meno entro seimila anni luce) o in singoli ammassi stellari giovani posti a distanze maggiori. Questo perché osservare attraverso il piano galattico – dove la quasi totalità delle regioni di formazione stellare si trova – significa guardare attraverso regioni ad alta estinzione, ossia popolate da estese nubi di gas e polveri che assorbono la radiazione stellare. Queste regioni ad alta estinzione sono state escluse dalla pianificazione della Wide-Fast-Deep survey, e rischiano di non essere osservate. Lo studio guidato da Prisinzano, invece, dimostra come con opportune strategie osservative sia possibile osservare tra 5 e 6 milioni di stelle giovani fino a distanze comprese tra i 30mila e i 50mila anni luce da noi. Questo non solo permetterebbe di osservare e studiare stelle giovani a distanze difficilmente raggiunte finora, ma permetterebbe per la prima volta di mappare i bracci di spirale più vicini al Sole della nostra galassia e avere una visione globale del processo di formazione stellare e dell’evoluzione delle stelle giovani nella Via Lattea.
«Al fine di aver il massimo ritorno scientifico dai dati Rubin Lsst è stato chiesto alla comunità scientifica di sviluppare delle metriche per ottimizzare la strategia osservativa, ovvero decidere come utilizzare al meglio il telescopio. La metrica sulle stelle giovani da noi sviluppata», spiega Prisinzano, «dimostra come sia fondamentale una copertura uniforme delle osservazioni per poter aumentare il volume entro cui sarà possibile scoprire nuove regioni di formazione stellare. Escludere il piano galattico o dedicare a esso un numero di visite inferiore rispetto alle altre direzioni, come pianificato nella strategia di base, significherebbe perdere l’unica opportunità che abbiamo di spingere la conoscenza della nostra galassia fino a distanze almeno cinque volte superiori a quelle che possiamo raggiungere con gli strumenti che abbiamo attualmente, e in futuro, a disposizione».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Supplement Series l‘articolo “Young stellar objects, accretion disks, and their variability with Rubin Observatory LSST”, di R. Bonito, L. Venuti, S. Ustamujic, P. Yoachim, R. A. Street, L. Prisinzano, P. Hartigan, M. G. Guarcello, K. G. Stassun, T. Giannini, E. D. Feigelson, A. Caratti o Garatti, S. Orlando, W. I. Clarkson, P. McGehee, E. C. Bellm e J. E. Gizis
- Leggi su The Astrophysical Journal Supplement Series l‘articolo “Rubin LSST Observing Strategies to Maximize Volume and Uniformity Coverage of Star-forming Regions in the Galactic Plane”, di Loredana Prisinzano, Rosaria Bonito, Alessandro Mazzi, Francesco Damiani, Sabina Ustamujic, Peter Yoachim, Rachel Street, Mario Giuseppe Guarcello, Laura Venuti, William Clarkson, Lynne Jones e Leo Girardi