Si chiama Grb 221009A, è esploso in una galassia a circa due miliardi di anni-luce dalla Via Lattea ed è il lampo di raggi gamma (gamma-ray burst, o Grb) più brillante mai registrato. Ma questo è solo l’inizio: la radiazione generata da questa straordinaria esplosione ha lasciato una traccia distintiva più vicino a casa, illuminando le nubi di polvere interstellare che permeano la nostra galassia. Ad analizzare questa impronta, nella forma di 21 anelli concentrici osservati nei raggi X, un gruppo di ricercatori e ricercatrici italiani. Ne parliamo con Sergio Campana dell’Istituto nazionale di astrofisica, tra gli autori di uno degli articoli appena pubblicati su Astrophysical Journal Letters.
Campana, può spiegarci perché questo gamma ray-burst è così speciale?
«Di gamma-ray burst se ne osserva praticamente uno al giorno. Questo burst è speciale perché è il più brillante mai osservato in 50 anni di storia di Grb. È brillante perché è una combinazione di un burst molto luminoso che è scoppiato nell’universo vicino – in termini astronomici – e quindi risulta essere molto brillante».
Quanto è importante il tempismo in una scoperta come questa?
«I gamma-ray burst sono dei fenomeni impulsivi che durano poche decine di secondi, la cui luminosità dopo questa fase iniziale impulsiva scema nel tempo, diventando sempre più debole. Quindi il tempismo è fondamentale: più velocemente si riesce a osservare quello che si chiama l’afterglow del Grb, più brillante è la sorgente. Adesso, anche a mesi di distanza dall’esplosione di questo Grb, ancora riusciamo a osservarlo però è debolissimo, quindi le informazioni che riusciamo a ottenere adesso sono molto minori di quelle che si riescono a ricavare subito dopo lo scoppio».
Torniamo a quel fatidico 9 ottobre e proviamo a fare una cronaca della scoperta…
«Questo burst è stato annunciato da Swift, satellite della Nasa con partecipazione italiana e inglese, come una sorgente peculiare e abbastanza vicina al piano della nostra galassia. Non si capiva bene cosa fosse, perché non aveva le caratteristiche specifiche che si osservano di solito nei gamma-ray burst. A ritroso dopo si è capito, sempre nella giornata del 9 ottobre ma diverse ore dopo, che il Grb vero e proprio era stato osservato da un altro satellite della Nasa circa un’ora prima, il satellite Fermi, e insieme a Fermi da tanti altri satelliti in orbita intorno alla Terra. Swift non è riuscito a vedere la fase iniziale del Grb perché era schermato dalla Terra rispetto alla posizione del burst. Quindi l’evento vero e proprio è successo un’ora prima di quanto è stato osservato da Swift, che di fatto ha invece visto l’afterglow del Grb».
E poi?
«Una volta capito che questo è un evento brillantissimo, tutti gli osservatori del mondo praticamente hanno cominciato a guardare, sia con i telescopi dallo spazio sia da Terra, e viene seguito ancora adesso. C’è stata una piccola pausa dovuta al fatto che la posizione del Grb è stata troppo vicina al Sole, per cui non era possibile osservarlo, ma adesso che è uscito da questa limitazione osservativa si sta continuando a osservare. L’hanno guardato veramente tutti: Hubble space telescope, James Webb space telescope… L’hanno guardato i telescopi più grandi da terra e anche quelli piccoli, perché all’inizio era molto brillante».
Grb 221009A, un evento praticamente unico. Come contribuisce alla comprensione dei fenomeni generali che caratterizzano i Grb?
«Allora, questo burst è estremamente luminoso e quindi ci dà delle informazioni molto dettagliate, ci permette di vedere molto bene nella fisica dei Grb. Inoltre, essendo un evento molto peculiare nel senso di molto vicino e molto brillante, ci dà informazioni sulla distribuzione in energia del Grb e indica probabilmente che la nostra stima di eventi rari come questi è sottostimata. Questo vuol dire che, da una semplice estrapolazione, ci dobbiamo aspettare un evento di questo tipo ogni 10mila anni, il che sembra effettivamente una coincidenza molto fortunata, per cui l’informazione che abbiamo su eventi di questo tipo rari fa sì che in qualche modo un poco sovrastimiamo la loro peculiarità. Oltre a questo, oltre alle proprietà del Grb medesimo, si può usare l’afterglow sia per studiare le caratteristiche del getto relativistico del Grb sia per studiare la materia lungo la linea di vista, sia nella nella galassia che ospita il Grb sia nella nostra galassia. Infatti l’afterglow ha mostrato la presenza di tanta materia nella nostra galassia in 21 strutture lungo la linea di vista che il Grb ci ha permesso di esplorare».
Sta parlando dei famosi anelli osservati nei raggi X con i satelliti Swift e Xmm-Newton. Sono mai stati osservati altrove, oppure si tratta di qualcosa di nuovo, dovuto alle caratteristiche peculiari di questo Grb?
«Gli anelli intorno a delle sorgenti X si vedono, si sono visti per altre sorgenti, non sono nuovi. In questo evento sono particolarmente interessanti da una parte perché ce ne sono tantissimi: sono 21, 21 anelli intorno a una sorgente X non si sono mai visti. E poi perché sono molto intensi, quindi si riesce veramente a studiarli in dettaglio. Un anello ci dà informazioni sia sulla posizione della materia che lo genera, quindi sulla distanza di questi sistemi che fanno scattering della luce X e generano gli anelli, sia sulla composizione chimica e la dimensione dei grani di polvere che generano gli anelli».
Cosa avete imparato da questa analisi?
«I dati sono estremamente ricchi e anche difficili da analizzare. Per adesso abbiamo localizzato i 21 sistemi lungo la linea di vista, che ci permettono di esplorare più di metà della nostra galassia. Ognuno di questi sistemi è sostanzialmente collegato a un braccio a spirale della nostra galassia. Stiamo studiando la composizione chimica: sembra che la maggior parte di questi anelli venga generata da polveri in forma di grafite, che è la materia di cui sono fatte le mine delle matite. Stiamo ancora studiando bene la distribuzione di questi anelli e la dimensione della polvere che genera gli anelli».
Qual è stata la parte più difficile in questo lavoro?
«Lo studio degli anelli è complicato perché non sono statici: un anello viene generato e poi si espande. Quindi nei dati bisogna andare a rincorrerlo e sommare i fotoni dell’anello che si espande nel tempo, quindi andando a dividere i dati in diversi tronconi temporali e poi trovare i fotoni degli anelli e via via nel tempo andarli a sommare. Ognuna di queste operazioni si porta dietro la risposta del telescopio in punti diversi del rivelatore, che è diversa, e quindi va tenuta in conto e poi sommata e considerata».
Com’è osservare altri Grb dopo questo?
«Potrebbe venire la voglia di rispondere ‘noioso’ ma assolutamente non è noioso, perché ogni nuovo burst può essere una scoperta incredibile. Proprio perché i gamma-ray burst possono verificarsi sia nell’universo locale sia ai confini dell’universo, ogni Grb va studiato, va studiata la sua distanza. A quel punto si può eventualmente concludere che è uno come tanti altri, ma finché non si va a guardarli tutti, uno per uno, non si saprà mai se è una perla o invece un Grb molto simile a quelli che abbiamo già studiato».
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal Letters l’articolo “The power of the rings: the GRB 221009A soft X-ray emission from its dust-scattering halo” di Andrea Tiengo, Fabio Pintore, Beatrice Vaia, Simone Filippi, Andrea Sacchi, Paolo Esposito, Michela Rigoselli, Sandro Mereghetti, Ruben Salvaterra, Barbara Siljeg, Andrea Bracco, Zeljka Bosnjak, Vibor Jelic, Sergio Campana
- Leggi il comunicato stampa Inaf “Il lampo gamma più luminoso di tutti i tempi” (28 marzo 2023)
- Leggi l’articolo di Media Inaf “Scoccato dalla Freccia, è il lampo gamma del secolo” (15 ottobre 2022)
- Leggi l’articolo di Media Inaf “Satelliti e antenne sotterranee: la caccia al Grb” (31 ottobre 2022)
Guarda l’intervista a Sergio Campana su MediaInaf Tv: