Pur costituendo l’85 per cento di tutta la massa dell’universo, la materia oscura continua a sfuggirci, a rimanere invisibile. Invisibile a qualunque lunghezza d’onda. Ne conosciamo l’esistenza solo attraverso i suoi effetti gravitazionali – per esempio, sul moto delle stelle attorno alle galassie. In realtà, esistono “oggetti” nei quali gravità e luce s’incontrano e interagiscono, tradendo così la presenza della materia oscura e rendendola in qualche modo visibile. Sono le lenti gravitazionali: addensati di materia – anche oscura, anzi: perlopiù oscura – che, deformando con la loro massa il tessuto dello spaziotempo, alterano il percorso della luce.
Dunque la materia oscura non è invisibile come potrebbe esserlo una finestra di vetro perfettamente liscia e pulita. È piuttosto invisibile come può esserlo una vetrata fatta di fondi di bottiglia o – più propriamente – di lenti: per quanto trasparente, quando la osserviamo la sua presenza viene svelata dalla deformazione che produce sulla luce emessa – o riflessa – da ciò che le sta dietro. Ciò implica che, anche se non possiamo vedere le “lenti” che formano la vetrata, possiamo intuirne la presenza. Non solo: conoscendo l’aspetto della figura dall’altra parte e vedendo come viene trasfigurata siamo in grado, con opportuni calcoli matematici, di ricostruire a ritroso la forma e la disposizione delle lenti stesse – vale a dire, degli agglomerati di materia oscura.
Ed è proprio avvalendosi di questo procedimento che un team di ricercatori della collaborazione Act – l’Atacama Cosmology Telescope – è riuscito ora a produrre, a un livello di dettaglio senza precedenti, una mappa della distribuzione della materia oscura su un quarto dell’intero cielo. Come immagine sullo sfondo hanno utilizzato il background per antonomasia: la radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb), ovvero la luce più antica dell’universo, risalente ad appena 380mila anni dopo il big bang. La mappa della Cmb, prodotta inizialmente da Wmap e più di recente – ad altissima precisione – dal telescopio spaziale Planck, è stata definita il ritratto dell’universo neonato. Ritratto che agli occhi di Act – un telescopio con uno specchio primario da sei metri di diametro che sorge nel deserto Atacama, in Cile – appare, come dicevamo, deformato dalle lenti gravitazionali di materia oscura.
«È un po’ come una silhouette, ma invece di avere solo il nero nella silhouette, vediamo la struttura e i grumi di materia oscura, come se la luce passasse attraverso una tenda di tessuto con molti nodi e rigonfiamenti», dice Suzanne Staggs, direttrice di Act e professoressa di fisica a Princeton. «La celebre immagine blu e gialla della Cmb è un’istantanea di come era l’universo in a una certa epoca, circa 13 miliardi di anni fa, e ora questa quella stessa immagine ci offre informazioni su tutte le epoche successive».
Certo, per una ricostruzione accurata l’ideale sarebbe avere accesso anche all’immagine di background – la “foto dell’universo neonato” – a monte dell’effetto distorsivo delle lenti gravitazionali, cosa ovviamente impossibile, non potendo andare a sbirciare dietro alla “vetrata”. Ma non è indispensabile. «In estrema sintesi, il lensing produce delle correlazioni tra le anisotropie di Cmb che altrimenti non esisterebbero. Tramite queste correlazioni è possibile ricostruire la “lente” che le ha prodotte», spiega infatti a Media Inaf Alessandro Gruppuso dell’Inaf di Bologna, cosmologo non direttamente coinvolto nello studio di Act. È un po’ quello che accade, seppure in modo macroscopico, con i cosiddetti anelli di Einstein: la loro forma è così caratteristica che, anche senza conoscere perfettamente quella delle galassie alle loro spalle, sappiamo che a produrli è una lente gravitazionale.
E a proposito di Einstein, la mappa della materia oscura prodotta da Act non fa che confermare la validità della relatività generale. «Il nostro risultato rappresenta un’ulteriore vittoria per la teoria della gravità di Einstein», sottolinea a questo proposito uno dei ricercatori della collaborazione Act, Adriaan Duivenvoorden, membro del gruppo di analisi e simulazione della Cmb della Simons Foundation. «La distribuzione della materia nell’universo recente che abbiamo misurato concorda con quanto ci aspettiamo dalla nostra comprensione dell’universo primordiale. Il fatto che siamo in grado di prevedere correttamente il modo in cui la materia si muove ed evolve in un periodo di tempo così lungo è una testimonianza a favore della nostra comprensione della cosmologia».
In particolare, la granularità degli addensamenti di materia oscura emersa dalla nuova mappa prodotta da Act ridimensiona – rispetto a risultati precedenti, basati su misure meno sensibili e con più rumore – la portata degli indizi che suggerivano errori nel modello standard, l’inadeguatezza della teoria della gravità di Einstein e, dunque, una “crisi della cosmologia”.
«Non vediamo le deviazioni dalla gravità che suggerirebbero una nuova fisica. Questi nuovi risultati», conclude un altro degli scienziati di Act, il cosmologo romano Simone Aiola, oggi a New York come project leader dell’elaborazione dei dati nel gruppo di analisi e simulazione della Cmb della Simons Foundation, «spazzano via molti dei modelli di gravità non-einsteiniani».