Recentemente è stato pubblicato su The Astrophysical Journal uno studio che cerca di rispondere a una domanda piuttosto intrigante: è più probabile che un’intelligenza dotata di tecnologia, come ad esempio la nostra, si evolva sulla terraferma o in acqua?
Fortuna vuole che tra gli autori ci sia Amedeo Balbi, brillante astrofisico e divulgatore scientifico. È a lui che Media Inaf ha chiesto quale sia la risposta alla quale sono arrivati.
A oggi sono stati confermati oltre 5300 esopianeti in quasi 4mila sistemi planetari diversi. Molti sono mondi oceanici che per definizione potrebbero ospitare la vita. Ma alla fine dei conti è più probabile trovare vita su pianeti oceanici oppure su pianeti simili alla Terra?
«Non sappiamo quale sia la probabilità che la vita appaia in un ambiente adatto, e in realtà non possiamo neanche dire con certezza cosa renda un ambiente adatto alla comparsa della vita. Siamo però convinti che la presenza di acqua liquida sia un prerequisito indispensabile. Uno degli scenari teorici più popolari presuppone che la vita sulla Terra abbia avuto un’origine sottomarina, in prossimità delle bocche idrotermali presenti nei fondali oceanici. Se questa ipotesi fosse corretta, la vita fuori dalla Terra potrebbe essere comparsa anche in mondi coperti di acqua liquida e totalmente privi di terre emerse, e persino in mondi che hanno oceani sotto una crosta solida. Ci si potrebbe allora aspettare una maggiore probabilità che la vita sia apparsa in mondi del genere, piuttosto che in quelli simili alla Terra, visto che i primi sembrano essere molto più numerosi».
Vale lo stesso per le forme di vita tecnologicamente avanzate?
«È quello che abbiamo provato a capire nel nostro studio, usando un’analisi probabilistica di tipo bayesiano. Non abbiamo considerato la comparsa della vita in generale, ma ci siamo invece concentrati su un tipo molto specifico di vita: ovvero la vita intelligente e dotata di capacità tecnologiche tali da alterare significativamente il proprio ambiente. In sostanza, abbiamo considerato la classe di riferimento a cui appartiene il genere umano».
Quali sono i punti fermi da cui siete partiti?
«Siamo partiti dal presupposto che i mondi oceanici siano ordini di grandezza più numerosi di quelli che hanno una grande percentuale di terre emerse, come la Terra: questo è un presupposto giustificato dalle osservazioni, sia nel Sistema solare che fuori. A parità di altri fattori, la nostra conclusione è che l’emergere di vita intelligente dotata di tecnologia (come la nostra) dovrebbe essere estremamente più probabile in un mondo oceanico».
Eppure noi ci troviamo sulla terraferma, non in un mondo oceanico: è un paradosso?
«Potrebbe essere semplicemente un’anomalia: la maggior parte delle specie intelligenti e tecnologiche sarebbe in mondi oceanici, e noi saremmo l’eccezione piuttosto che la norma. Se invece vogliamo preservare la nostra “normalità” – cioè considerarci dei rappresentanti “medi” dell’intelligenza tecnologica nell’universo – dobbiamo cercare soluzioni alternative. Nel nostro studio ne elenchiamo almeno tre: può darsi che sia molto più improbabile che la vita intelligente sviluppi la tecnologia in mondi che non hanno terre emerse, o che i mondi oceanici restino abitabili per un intervallo di tempo mediamente molto più breve, o ancora che la vita nei mondi oceanici non arrivi mai al grado di complessità necessario per avere specie intelligenti. Allo stato attuale, la nostra conoscenza è troppo incerta per consentirci di scegliere una di queste alternative come più probabile. In definitiva, come sempre nella scienza, l’unico modo per vagliare le diverse ipotesi è affidarsi alle osservazioni, e speriamo che in un futuro non troppo lontano potremo capirne di più».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “A Bayesian Analysis of Technological Intelligence in Land and Oceans” di Manasvi Lingam, Amedeo Balbi, and Swadesh M. Mahajan