Un team tutto italiano di ricercatori dell’Università dell’Insubria, dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) ha di recente portato alla luce una tematica molto rilevante nell’ambito della ricerca di mondi abitabili tra gli esopianeti. Nello specifico i ricercatori si sono chiesti se gli esopianeti scoperti nella cosiddetta “zona abitabile” –vale a dire la zona intorno a una stella dove c’è possibilità che esista acqua liquida sulla superficie – ricevono un flusso di radiazione ultravioletta favorevole allo sviluppo e al mantenimento della vita. Per la raccolta dei dati il team ha utilizzato il telescopio spaziale Swift della Nasa per osservare 17 stelle che ospitano 23 pianeti nella zona abitabile. I risultati sono stati pubblicati questo mese sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. «Abbiamo dimostrato che i pianeti scoperti nella zona abitabile delle nane rosse, che sono circa il 75 per cento delle stelle dell’universo, non ricevono abbastanza radiazione ultravioletta per innescare alcuni processi che – secondo esperimenti recenti – portano alla formazione dei mattoni fondamentali della vita, ad esempio Rna», spiega Riccardo Spinelli, dottorando dell’Università dell’Insubria e primo autore dello studio, spiega:
L’acqua è sicuramente un elemento fondamentale per lo sviluppo della vita come la conosciamo noi. Tuttavia, alcuni esperimenti dimostrano che le condizioni per generare la vita e preservarla potrebbero essere molteplici. Ad esempio, la luce ultravioletta della stella attorno a cui i pianeti orbitano può essere un fattore determinante nel definire l’abitabilità di un pianeta. La radiazione ultravioletta prodotta dalla stella che raggiunge il pianeta ha un duplice ruolo: può favorire la formazione di zuccheri primari che assieme agli altri “mattoni” possono portare allo sviluppo della vita ma può anche risultare dannosa distruggendo le catene del Dna delle prime cellule e batteri che si formano. La zona abitabile, l’intervallo di distanze a cui un pianeta in orbita attorno alla sua stella riesce a conservare l’acqua allo stato liquido sulla sua superficie, deve sovrapporsi, almeno in parte, con la zona in cui la radiazione Uv della stella non è né troppo intensa da risultare dannosa né troppo debole da non agire come catalizzatore per lo sviluppo della vita.
«Dai dati raccolti», aggiunge Spinelli, «abbiamo dedotto che le nane rosse che abbiamo studiato emettono troppa poca radiazione vicino-ultravioletta per innescare l’origine della vita secondo una chimica che richiede tale radiazione. Inoltre abbiamo trovato una relazione tra la luminosità di una stella nella banda vicino-ultravioletta e la temperatura superficiale di una stella. Questa relazione ci consente di dire che una stella per innescare tali reazioni nella zona abitabile, ovvero irraggiare un pianeta in zona abitabile con un flusso vicino-ultravioletto sufficiente, deve avere una temperatura superficiale di almeno 4000 gradi. Dato che circa il 75 per cento delle stelle dell’universo sono stelle più fredde, questo potrebbe dire che la maggior parte delle stelle dell’universo non riesce a formare questi mattoni fondamentali per la vita». Al contrario, le stelle più calde delle nane rosse riescono a fornire ai pianeti orbitanti nella zona abitabile una radiazione ultravioletta sufficiente ad innescare i processi per la formazione dei mattoni fondamentali per la vita.
Recenti studi sperimentali hanno dimostrato che, in laboratorio, alcuni zuccheri fondamentali per la vita si formano efficientemente se alcune molecole – come acido cianidrico e anidride solforica – vengono esposte a un flusso minimo di radiazione con lunghezza d’onda nel vicino-ultravioletto. «D’altra parte sappiamo che troppa radiazione ultravioletta è deleteria per la vita», sottolinea Francesco Borsa dell’Inaf di Milano, «perché danneggia il Dna e distrugge molte proteine. Dunque esiste attorno ad ogni stella una fascia entro la quale un pianeta potrebbe ricevere abbastanza radiazione Uv per innescare l’origine della vita, ma non troppa da distruggerla. Abbiamo definito questa fascia zona “Uv abitabile». È una definizione analoga a quella di zona abitabile, che delimita la zona attorno ad una stella dove l’irraggiamento stellare consente una temperatura adatta alla presenza di acqua liquida sulla superficie planetaria, condizione che si ritiene necessaria alla vita sulla Terra. Il nostro lavoro è partito dalla domanda: gli esopianeti scoperti che orbitano nella zona abitabile, orbitano anche nella zona Uv abitabile?»,
E perché utilizzare Swift? Questo telescopio osserva nella banda ultravioletta mediante lo strumento Uvot (UltraViolet Optical Telescope), «che ci ha permesso di misurare il flusso delle stelle selezionate che hanno attorno a loro pianeti orbitanti nella fascia abitabile», spiega Spinelli. «Alcune delle osservazioni di cui avevamo bisogno non erano presenti nell’archivio di dati Swift e quindi abbiamo fatto una proposta osservativa ottenendo una frazione del tempo che l’Italia ha a disposizione in accordo con gli altri stati (Usa e Regno Unito) che hanno costruito e gestiscono il satellite».
«Un cambiamento di prospettiva interessante è che in futuro l’eventuale scoperta di vita su pianeti abitabili attorno a nane rosse, potrebbe farci riconsiderare l’ipotesi che la luce ultravioletta sia fondamentale per la formazione della vita. In qualche modo, gli esopianeti potrebbero rappresentare anche dei laboratori per studiare come la vita si è originata sulla terra», conclude Giancarlo Ghirlanda dell’Inaf di Milano.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices Royal Astronomical Society l’articolo “The ultraviolet habitable zone of exoplanets”, di Riccardo Spinelli, Francesco Borsa, Giancarlo Ghirlanda, Gabriele Ghisellini e Francesco Haardt