Il 10 maggio, lo Space Telescope Science Institute (StScI) ha annunciato i programmi selezionati per il secondo ciclo del James Webb Space Telescope (Jwst), o Cycle 2 General Observer (Go). Sono stati circa 5.450 i ricercatori che hanno presentato proposte, da tutto il mondo. I progetti selezionati appaiono ben bilanciati su tanti argomenti scientifici diversi, dai vicini asteroidi alla cosmologia, passando per esopianeti e formazione stellare, con una distribuzione che corrisponde alle proposte presentate.
Il programma Cycle 2 Go include 249 proposte per circa 5.000 ore di prime time e fino a 1.215 ore di tempo parallelo, oltre a 8 proposte di archivio e 8 teoriche. Il 48 per cento del prime time sarà dedicato a piccoli programmi (meno di 25 ore), il 35 per cento a programmi medi (da 25 a 75 ore) e il 17 per cento a programmi di grandi dimensioni (più di 75 ore). Le proposte selezionate sono state preparate da oltre 2.088 ricercatori e ricercatrici provenienti da 41 paesi, e il 10 per cento delle proposte è guidato da studenti. Venti delle proposte selezionate sono guidate da ricercatrici e ricercatori italiani, di cui 17 all’estero. Media Inaf ha raggiunto i quattro responsabili scientifici in attività sul territorio nazionale per avere qualche informazione in più sui loro programmi.
Eleonora Troja dell’Universita di Roma Tor Vergata si è aggiudicata tempo prezioso al telescopio spaziale per osservare uno dei fenomeni cosmici più energetici dell’universo, lo scontro di due stelle di neutroni. «Questo ciclo del Jwst ha ricevuto oltre 1600 proposal che è stato il numero più alto mai ricevuto dalla Nasa, inclusi i 30 cicli di Hubble. Quindi è stata una vera competizione cut-throat», racconta la ricercatrice. «Il mio progetto è stato approvato per un totale di 25 ore e osserverà lo scontro di due stelle di neutroni nell’universo vicino. Queste collisioni producono un bagliore infrarosso che si chiama kilonova e che viene prodotto dal decadimento radioattivo di metalli più pesanti del ferro. Noi abbiamo visto altre kilonovae nel passato ma siamo riusciti a vederne solo la fase iniziale, che dura un paio di settimane e che chiamiamo opaca perché a causa delle alte densità quello che vediamo è principalmente una radiazione di corpo nero. In questa fase ci è difficile capire quali metalli siano stati forgiati dopo la collisione. È solo grazie alla tecnologia di Jwst che ora ci possiamo spingere più in là e iniziare a esplorare l’evoluzione della kilonova nei mesi successivi all’esplosione, quando passa dalla fase opaca a quella trasparente. In questa fase ci aspettiamo di poter identificare alcuni dei metalli prodotti e stabilire definitivamente se gli scontri di stelle di neutroni sono le fucine cosmiche dell’oro e del platino».
Federico Lelli dell’Inaf Osservatorio Astrofisico di Arcetri è il responsabile di un programma che si propone di studiare alcune galassie nell’universo primordiale, nonché di testare in quell’epoca remota teorie gravitazionali alternative. «Il nostro progetto Jwst ha l’obiettivo principale di studiare la materia luminosa e quella oscura in un campione di 16 galassie primordiali, osservate quando l’universo aveva solo un miliardo e mezzo di anni, ovvero circa il 10 per cento della sua età attuale», spiega Lelli. «Il nostro campione, denominato Triceps, è speciale perché negli scorsi anni abbiamo ottenuto e analizzato osservazioni ad altissima risoluzione con il telescopio Alma, che ci permettono di tracciare la distribuzione e cinematica del gas all’interno delle galassie. In particolare abbiamo misurato la cosiddetta curva di rotazione, ovvero la velocità di rotazione del gas rispetto al centro galattico, che è uno strumento fondamentale per studiare l’abbondanza e la distribuzione della materia luminosa (gas e stelle) e di quella oscura. Fino a oggi, però, non avevamo un ingrediente fondamentale per i nostri studi dinamici: la distribuzione della massa stellare delle galassie. Jwst ci permetterà di colmare questa mancanza. Abbiamo richiesto immagini Jwst in varie bande fotometriche che ci permetteranno di vedere – per la prima volta – come sono distribuite le stelle all’interno di queste galassie e in particolare di misurare la loro massa e il loro campo gravitazionale. Utilizzando le informazioni Jwst in sinergia con i dati Alma saremo in grado di stabilire se queste galassie primordiali contengono, oppure no, materia oscura al loro interno. Saremo anche in grado di testare teorie gravitazionali alternative, come ad esempio la teoria Mond, in un’epoca cosmica che finora è rimasta completamente inesplorata».
«Il nostro progetto ha anche importanti obiettivi collaterali», continua Lelli. «Le immagini Jwst ci permetteranno di misurare il tasso di formazione di nuove stelle in diverse regioni di queste galassie, mentre i dati Alma ci forniscono la distribuzione del gas, quindi potremo combinare le due informazioni per studiare le leggi che governano la conversione di gas in stelle in galassie primordiali. Infine, siccome le galassie nel nostro campione sono tra gli oggetti più massicci in questa epoca cosmica, ci aspettiamo che vivano in regioni molto dense dell’universo e che siano circondate da galassie satelliti più piccole, che saremo in grado di identificare e studiare grazie alle nuove immagini Jwst».
Rimanendo nell’ambito dello studio delle galassie, il programma di Marco Castellano dell’Inaf Osservatorio Astronomico di Roma intende studiare dal punto di vista spettroscopico alcune sorgenti ad alto redshift: «Il proposal ha lo scopo di confermare spettroscopicamente con circa 20 ore di osservazioni NirSpec le sorgenti di alto redshift (z~9-12) selezionate nelle osservazioni NirCam della survey Ers Glass-Jwst. Le osservazioni spettroscopiche di queste sorgenti sono estremamente importanti perché Glass-Jwst ha fornito le prime indicazioni di un “eccesso” di galassie brillanti a z>9 rispetto a predizioni teoriche. In particolare, le prime osservazioni Glass-Jwst hanno permesso l’individuazione fotometrica di due sorgenti brillanti a z~10 e z~12, denominate Ghz1/Glass-z11 e Ghz2/Glass-z12, successivamente selezionate da molte altre analisi indipendenti. Un lavoro successivo ha confermato un’alta densità di sorgenti brillanti a z~10 nella regione e trovato indicazioni della possibile presenza di una struttura sovradensa a quel redshift. L’eccesso di sorgenti brillanti ad alto redshift non è però solo relativo al campo Glass, ma è stato confermato anche da altre survey, tanto che diverse spiegazioni teoriche sono state proposte per spiegare queste osservazioni (ad esempio un’alta efficienza di formazione stellare nell’universo primordiale, scarsa polvere, o addirittura necessità di rivedere il modello cosmologico standard). La conferma spettroscopica e la caratterizzazione fisica delle sorgenti di alto redshift dell’area Glass-Jwst è quindi un ingrediente fondamentale per caratterizzare la formazione ed evoluzione delle prime galassie».
«Il programma Cycle 2 inoltre consentirà il follow-up spettroscopico di decine di altri oggetti a redshift intermedio e alto nel campo Glass-Jwst», conclude Castellano, «e acquisirà in parallelo osservazioni imaging NirCam in diverse bande per estendere la selezione fotometrica di sorgenti di alto redshift su un’area più ampia e mappare la possibile struttura sovradensa a z~10 presente nella regione».
Infine, Iván López, dottorando argentino dell’Università di Bologna e affiliato a Inaf Oas Bologna, è responsabile di un programma selezionato per il Cycle 2 che prevede l’osservazione della vicina galassia a spirale M58 con il telescopio Jwst utilizzando diversi strumenti (Miri, NirSpec e NirCam) al fine di studiare l’effetto del buco nero supermassiccio sullo stato fisico del gas molecolare nelle regioni centrali della galassia. «In particolare, la regione centrale di M58 è interessante in quanto il getto a bassa potenza prodotto dal buco nero sembra influenzare fortemente la temperatura del gas molecolare, fino alla possibile soppressione della formazione di nuove stelle», spiega López. «Il telescopio Jwst, grazie all’utilizzo di una combinazione di imaging e spettroscopia a campo integrale con strumenti nel vicino infrarosso (NirCam e NirSpec) e nel medio infrarosso (Miri), può risolvere spazialmente e cinematicamente le interazioni tra il getto e il mezzo interstellare su una scala di 10 parsec. In questo modo, con il nostro team potremo determinare quale frazione di gas molecolare e ionizzato viene riscaldata sul posto e quale invece viene trascinata in un outflow. Confrontando la quantità di gas molecolare e ionizzato in outflow con il tasso di accrescimento del buco nero e i tassi di formazione stellare nucleare, sarà possibile determinare quale sia l’impatto della retroazione del buco nero attivo sulla galassia».
«È importante sottolineare che questo studio ad alta risoluzione spaziale dell’interazione tra il getto e il mezzo interstellare potrà migliorare significativamente la nostra comprensione del processo di retroazione del getto, in particolare dell’efficienza con cui il nucleo galattico attivo e i suoi getti influenzano il contenuto globale di gas e la formazione stellare della galassia ospite. Ciò ci permetterà di avere informazioni su come tali fenomeni avvengono anche ad alto redshift, dove non ci è possibile esaminare i dettagli di questi processi ad una così alta risoluzione spaziale», conclude López.
[Edit del 19 maggio 2023, ore 13:30: aggiunto il virgolettato del quarto responsabile attivo sul territorio nazionale di un programma approvato per il Jwst Cycle 2 Go, Iván López, dottorando argentino dell’Università di Bologna – con un PhD nell’ambito del progetto europeo BoD4BESte – e affiliato a Inaf Oas Bologna]