Le galassie nascono, crescono, si incontrano con altre galassie, vivono in ambienti diversi. Le loro proprietà, la forma, la dimensione, il contenuto di gas e polveri, di stelle e di materia oscura, la composizione chimica, o la massa variano col tempo, anche in funzione di altre proprietà. Gli astronomi studiano quelle che si chiamano relazioni di scala, e cioè mettono in correlazione varie proprietà galattiche, e le confrontano con modelli e simulazioni, in funzione del tempo cosmico e dell’ambiente nel quale le galassie vivono (ad esempio negli ammassi o isolate), per poter estrarre informazioni sui processi fisici che hanno guidato la loro formazione ed evoluzione. La massa totale delle galassie è principalmente ottenuta attraverso la misura dei moti delle stelle, o attraverso curve di rotazione in galassie a spirale, oppure misurando la dispersione dei moti stellari in galassie con moti caotici, come le ellittiche massive. Ma questo tipo di osservazioni è spesso difficile da effettuare, soprattutto per galassie molto distanti. Il fenomeno delle lenti gravitazionali fornisce una stima di massa alternativa, basata sulle predizioni della relatività generale di Einstein.
Si forma una lente gravitazionale quando dietro a una galassia più vicina (che chiameremo “lente”) si trova un’altra galassia (di fondo). Infatti, la lente, attraverso la sua gravità, modifica i percorsi della luce emessa dalla galassia di fondo. Il risultato di questo fenomeno è spettacolare come un miraggio, generando immagini multiple della sorgente di fondo, o distorcendo la luce della sorgente, proprio come uno specchio che deforma la nostra immagine. Quello che gli astronomi osservano è quindi una galassia (la lente) circondata da immagini multiple della stessa sorgente di fondo. Oppure osservano la lente circondata da un anello o da archi, che sono l’immagine distorta di quella galassia di fondo. Trovare queste lenti gravitazionali in gran numero e poterle modellare velocemente consentirà di poter studiare il contenuto di materia e di materia oscura in funzione del tempo cosmico per un numero enorme di galassie. Un gruppo di ricerca che comprende ricercatori dell’Inaf, di università italiane e internazionali ha applicato le reti neurali per modellare le lenti gravitazionali con scopo ultimo di stimarne le masse totali.
«Durante la mia tesi triennale», dice a Media Inaf Fabrizio Gentile, dottorando all’Università di Bologna e primo autore dello studio pubblicato questo mese su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (Mnras), «ho iniziato a lavorare alle lenti gravitazionali applicando un metodo, basato sulle reti neurali convoluzionali, per scovarle nei dati presi con il telescopio Vst, ideato a Napoli e situato sulle Ande Cilene. Queste reti neurali sono perfette per riconoscere pattern nelle immagini, e durante la mia tesi magistrale abbiamo mostrato che possono anche essere utilizzate per stimare parametri caratteristici delle lenti, come la forma della galassia e il cosiddetto raggio di Einstein». L’anello di Einstein è un particolare caso di lente gravitazionale che si forma quando sorgente di fondo e galassia lente sono perfettamente allineate, e la sorgente di fondo viene vista come un anello che circonda la lente. «Abbiamo investigato ulteriormente questa tecnica e ne abbiamo pubblicato i risultati in un articolo su Mnras. Abbiamo chiamato la nostra rete Lemon, acronimo di Lens modelling with neural network».
«Abbiamo iniziato questo percorso qualche anno fa, sviluppando a Groningen delle reti neurali che si sono dimostrate efficientissime nel trovare nuove lenti gravitazionali», ricorda il coordinatore del progetto, Crescenzo Tortora, ricercatore all’Inaf di Napoli, «e il lavoro è poi proseguito anche assieme a collaboratori cinesi. Non siamo i soli a lavorare in questo campo, ma stiamo fornendo il nostro contributo per poter sfruttare le potenzialità di questi algoritmi in astrofisica e in particolare nello studio delle proprietà delle galassie. Infatti, il passo successivo è stato quello di estrarne le proprietà, di modellarle, per arrivare poi a una stima di massa, utilizzando le enormi potenzialità delle reti neurali, capaci di performare quanto tecniche usuali, ma al contempo richiedendo dei tempi computazionali enormemente minori. Le lenti gravitazionali permettono di ottenere la stima più precisa di massa in astrofisica, che dipende dal raggio di Einstein modellato e dalle distanze di lente e sorgente. Queste ultime possono essere determinate attraverso osservazioni spettroscopiche indipendenti».
Ma come funziona Lemon? «Lemon è una rete neurale bayesiana, derivata da una modifica delle reti neurali convoluzionali classiche, utilizzata per determinare i parametri distintivi delle lenti, ma con l’ulteriore vantaggio di fornire anche una stima dell’incertezza sui parametri determinati”, spiega Gentile.
«In fisica e in astronomia, e in qualsiasi processo osservativo, la stima delle incertezze statistiche su una misura o su un parametro è fondamentale per capirne l’affidabilità, la precisione della nostra conoscenza su quella specifica quantità, e quindi capire quanto precise sono le relazioni di scala che utilizzano proprio quei parametri», aggiunge Giovanni Covone, professore all’Università di Napoli Federico II e coautore dell’articolo. «Le reti neurali convoluzionali sono ispirate alle cortecce visive animali, e si sono dimostrate in più occasioni, anche al di fuori dell’astrofisica, tecniche di riconoscimento delle immagini molto efficaci. Queste nuove reti bayesiane consentono, in più, di fornire degli errori sui parametri caratteristici della lente gravitazionale»
«Abbiamo creato delle lenti gravitazionali simulate, emulando le immagini prese dal telescopio spaziale Hubble e quelle che in futuro verranno osservate da Euclid. Una volta creato un campione di lenti simulate, detto campione di addestramento, abbiamo addestrato la rete neurale ad associare a quella particolare lente gravitazionale, con la sua particolare configurazione, quell’insieme di parametri. Una volta addestrata la rete, l’abbiamo applicata a un campione, detto di test, che la rete non aveva mai visto, per appurare che riuscisse, una volta “viste” queste nuove lenti, a stimarne i parametri», continua Gentile. «Quindi, in un secondo momento abbiamo applicato Lemon, addestrata precedentemente, a un campione reale di lenti del campione Slacs, osservate proprio con Hubble, ottenendo delle stime dei parametri in completo accordo con tecniche di analisi più usuali».
Questo tipo di tecniche avrà una estesa applicazione ai dati che verranno. «Siamo coinvolti all’interno della collaborazione Euclid, un telescopio spaziale che verrà lanciato con SpaceX questo luglio. Siamo anche coinvolti direttamente nell’implementazione di Lemon all’interno della pipeline che si occuperà della modellizzazione delle lenti che Euclid scoprirà. Euclid, con i suoi 15mila gradi quadrati osservati, circa un terzo dell’intera volta celeste, ci permetterà di scoprire un enorme numero di lenti gravitazionali, più di centomila, aumentando di oltre cento volte il numero di lenti attualmente conosciute. Seppur raro come evento, su un area di cielo così grande il numero di galassie da analizzare per scoprirle saranno milioni, e quelle da modellizzare saranno decine di migliaia. Lemon permetterà di analizzarle in un batter d’occhio», conclude Tortora.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “LeMoN: Lens Modelling with Neural networks — I. Automated modelling of strong gravitational lenses with Bayesian Neural Networks”, di Fabrizio Gentile, Crescenzo Tortora, Giovanni Covone, Léon V.E. Koopmans, Rui Li, Laura Leuzzi, Nicola R. Napolitano