Un team italiano di ricercatori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e della Stony Brook University (Usa) ha dimostrato per la prima volta che una magnetar appena formata e rapidamente rotante, cioè una stella di neutroni con un campo magnetico elevatissimo che ruota su se stessa molte centinaia di volte al secondo, può spiegare in modo dettagliato le diverse fasi dell’emissione dei lampi di raggi gamma, dalla loro violenta accensione fino allo spegnimento definitivo. Il risultato è stato ottenuto confrontando le previsioni teoriche con un ricco insieme di dati nella banda dei raggi X e gamma. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
I lampi di raggi gamma (in inglese gamma-ray burst, o Grb) sono brevi eventi esplosivi tra i più violenti dell’universo, a distanza di miliardi di anni luce da noi. La loro energia viene trasferita in potentissimi getti collimati che emettono la radiazione che osserviamo. Si ritiene che i Grb siano originati nel processo di formazione di un buco nero di massa stellare, in seguito al collasso gravitazionale di una stella alla fine del suo ciclo evolutivo, o alla collisione e fusione di due stelle di neutroni. Negli ultimi anni è stata sviluppata un’altra ipotesi: i Grb, o almeno una frazione rilevante di essi, potrebbero essere prodotti dalla formazione di una magnetar che ruota su sé stessa molte centinaia di volte al secondo. Le magnetar, come le altre stelle di neutroni, hanno una massa simile a quelle del Sole concentrata in un volume dalle dimensioni comparabili con quelle di una grande città, ma posseggono campi magnetici elevatissimi. Scoperte nella nostra galassia negli anni ’90 del secolo scorso, sono caratterizzate da un’intensa emissione di origine magnetica in raggi X e gamma, punteggiata da ricorrenti episodi parossistici di breve durata ed enorme luminosità. La loro origine è ad oggi un mistero tra i più studiati nell’astrofisica degli oggetti compatti.
Il nuovo lavoro combina conoscenze acquisite nello studio delle magnetar e delle stelle di neutroni che catturano materia con le principali caratteristiche dei Grb, dimostrando come una magnetar appena formata e rapidamente rotante possa spiegare le proprietà di alcuni tra i Grb più studiati meglio di un buco nero.
«Il nostro studio spiega in modo quantitativo le diverse fasi dell’emissione di un lampo gamma e del suo graduale spegnimento», dice Simone Dall’Osso, ricercatore Infn, associato Inaf e primo autore dell’articolo. «I processi fisici coinvolti sono gli stessi che operano in altri sistemi contenenti stelle magnetiche in rotazione quali nane bianche, stelle di neutroni ordinarie (non magnetar) ed anche stelle ordinarie in fase di formazione. Applicati ad una magnetar appena formata e rapidamente rotante questi stessi processi portano al rilascio di enormi quantità di energia in tempi brevissimi, con segni distintivi identificabili».
«Per poter fornire una spiegazione organica delle diverse fasi dei lampi gamma», aggiunge Giulia Stratta, ricercatrice Inaf, associata Infn e membro del cluster di ricerca Elements presso la Goethe University di Francoforte, «è stato necessario basarsi sui Grb per i quali abbiamo le informazioni più complete da osservazioni in banda ottica, X e gamma. Si tratta di una dozzina di casi in tutto, frutto di un lungo lavoro di ricerca tra molte centinaia».
Lo scenario teorizzato nel lavoro del team italiano suggerisce che, in una prima fase, la magnetar catturi parte della materia che ancora sta cadendo a seguito del collasso gravitazionale o della collisione tra stelle di neutroni. Questo genera la parte iniziale e più brillante del Grb, liberando un’enorme quantità di energia gravitazionale in poche decine di secondi. Quando l’afflusso di materia diminuisce, la rotazione del campo magnetico della magnetar inizia a respingere la materia stessa fiondandola via – un po’ come un’elica che gira – e una quantità via via più piccola di energia gravitazionale viene rilasciata, causando un graduale calo della luminosità. Infine, quando non vi è più materia che cade, la magnetar si comporta come una stella di neutroni isolata e dissipa progressivamente la sua energia rotazionale.
Secondo Rosalba Perna, professoressa ordinaria alla Stony Brook University e co-autrice dello studio, «questo risultato getta una nuova luce su due misteri cosmici, suggerendo un probabile legame tra di essi: ‘che cos’è che produce un lampo gamma’? e ‘dove si formano le magnetar e in quali speciali condizioni, tali da differenziarle dalle altre stelle di neutroni?’».
«Appena formate, le magnetar, come anche i buchi neri di massa stellare, possono essere motori astrofisici di eccezionale potenza», sottolinea Luigi Stella, dirigente di ricerca all’Inaf di Roma e autore anch’egli dello studio, «capaci di alimentare l’emissione dei lampi gamma, ma anche di generare forti onde gravitazionali, come abbiamo dimostrato in alcuni studi precedenti».
«Nel prossimo futuro», conclude Dall’Osso, «un’ulteriore e definitiva conferma della formazione di una magnetar potrà venire proprio dalla rivelazione di un segnale in onde gravitazionali».
Per ulteriori informazioni:
- Leggi su arXiv l’articolo “Magnetar central engines in gamma-ray bursts follow the universal relation of accreting magnetic stars”, di Simone Dall’Osso, Giulia Stratta, Rosalba Perna, Giovanni De Cesare e Luigi Stella