L’attuale decennio potrebbe vedere l’inizio di una presenza umana a lungo termine sulla Luna. Il prossimo decennio potrebbe invece essere quello in cui vedremo la presenza stabile dell’essere umano su Marte. Queste, almeno, sono le intenzioni della Nasa e del patron di SpaceX, Elon Mask, rispettivamente. L’esplorazione a lungo termine di questi corpi celesti pone tuttavia molteplici sfide, che dovranno essere affrontate per garantire il successo delle missioni. Una di queste è la necessità di produrre autonomamente in loco ossigeno per la sopravvivenza degli astronauti.
In uno studio pubblicato di recente su Nature Communications, un team di scienziati guidati dall’Università di Warwick descrive un nuovo dispositivo in grado di risolvere il problema dell’approvvigionamento della preziosa molecola a partire da una fonte di energia verde, rinnovabile e inesauribile, almeno per i prossimi circa 5 miliardi di anni: l’energia della nostra stella, il Sole.
Selezionato tra le tante proposte inserite nella Open Space Innovation Platform (Osip) e finanziato dall’Agenzia spaziale europea, il dispositivo in questione è una sorta di cella fotoelettrochimica al cui interno avviene la produzione, assistita dalla luce del Sole, di ossigeno a partire da anidride carbonica e acqua. In pratica, si tratta di uno strumento che è in grado di fare ciò che sulla Terra le piante fanno di “mestiere” con la fotosintesi clorofilliana: convertire, appunto, l’acqua e l’anidride carbonica in ossigeno utilizzando la luce solare.
Non solo. Secondo i ricercatori la tecnologia potrebbe essere utilizzata anche per produrre una varietà di molecole a base di carbonio come ad esempio il metano, sostanza utilizzata per la propulsione dei razzi alimentati da ossigeno e metano liquido (Lox/LCH4).
«L’esplorazione umana dello spazio deve affrontare la stessa sfida che stiamo affrontando sulla Terra riguardo alla transizione verso l’uso di energia verde: l’utilizzo di fonti di energia sostenibili» dice Katharina Brinkert, ricercatrice all’Università di Warwick e co-autrice dello studio. «In questo lavoro» aggiunge Brinkert, «abbiamo mostrato che la luce solare, così abbondantemente disponibile nello spazio, potrebbe essere utilizzata per raccogliere energia – come fanno le piante sulla Terra – per i sistemi di supporto vitale necessari per i viaggi spaziali a lungo termine, garantendo un’ampia produzione di ossigeno e il riciclaggio di anidride carbonica sia sulla Luna che su Marte».
Ma non è tutto. A detta dei ricercatori, infatti, a differenza degli attuali sistemi per la produzione di ossigeno – come l’Oxygen Generator Assembly (Oga) utilizzato sulla Stazione spaziale internazionale – questi “dispositivi di fotosintesi artificiale”, oltre ad avere il vantaggio di utilizzare direttamente l’energia solare piuttosto che la corrente prodotta tramite fotovoltaico, hanno un ulteriore punto di forza: avendo un peso e un ingombro molto minore, sono molto più facili da utilizzare per le future missioni spaziali a lungo termine, rendendole inoltre più efficienti.
«In questo studio abbiamo finalmente quantificato il potenziale di tali dispositivi per l’uso extra-terrestre» conclude Sophia Haussener, ricercatrice alla Scuola politecnica federale di Losanna (Epfl), in Svizzera, e anche lei tra i firmatari dello studio. «In questo modo abbiamo potuto fornire le linee guida per la loro potenziale implementazione nei nuovi sistemi di supporto vitale»
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Assessment of the technological viability of photoelectrochemical devices for oxygen and fuel production on Moon and Mars” di Byron Ross, Sophia Haussener e Katharina Brinkert