Nel 1937, la luminosità di una giovane stella a 1.200 anni luce da noi – Fu Orionis (o Fu Ori), nella costellazione di Orione – aumentò di un centinaio di volte. Per molto tempo si è creduto che fosse un oggetto unico nel suo genere, finché nel 1970 ne venne scoperto un altro con un comportamento molto simile. Da allora ne sono stati scoperti diversi ed è stata quindi introdotta una nuova classe di stelle variabili: le variabili Fu Orionis. Si tratta di stelle estremamente giovani, che non hanno ancora raggiunto la sequenza principale e dunque si trovano ancora in fase di formazione, caratterizzate da improvvisi fenomeni eruttivi.
Quella prima stellina che ha dato il nome alla classe, e che ancora oggi non è tornata alla luminosità normalmente prevista, è stata recentemente oggetto di studio da parte di un gruppo di ricercatori guidati dall’Università di Leicester e finanziati dal Science and Technology Facilities Council (Stfc) del Regno Unito, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society.
Si è sempre pensato che l’aumento della luminosità di Fu Ori fosse dovuto a materiale in caduta sulla protostella proveniente dal suo disco protoplanetario, ma i dettagli non sono mai stati chiariti. Ora, gli scienziati hanno suggerito che la causa dell’aumento di luminosità rilevato 85 anni fa sia da ricercarsi in un pianeta dieci volte più massiccio di Giove che sta “evaporando” vicino alla protostella, che strappa materiale dal pianeta e lo inghiotte, generando vigorosi brillamenti stellari. I ricercatori hanno chiamato questo nuovo processo evaporazione estrema di giovani pianeti giganti gassosi, che si verifica in dischi con temperature medie superiori a 30mila gradi.
I ricercatori hanno sviluppato una simulazione per Fu Ori, modellando un pianeta gigante gassoso formatosi nella parte esterna di un disco. La simulazione mostra come un tale seme planetario possa migrare verso la stella ospite molto rapidamente, attratto dalla sua forza gravitazionale. Quando raggiunge l’equivalente di un decimo della distanza tra la Terra e il Sole, il materiale attorno alla stella è così caldo da incendiare gli strati esterni dell’atmosfera del pianeta. Il pianeta diventa quindi una fonte imponente di materiale “fresco” che alimenta la stella e la fa crescere e brillare più luminosa.
«Questa è stata la prima stella in cui si è osservato questo tipo di bagliore. Ora abbiamo un paio di dozzine di esempi di tali brillamenti in altre giovani stelle che si stanno formando nel nostro angolo della Galassia. Mentre gli eventi Fu Ori sono estremi rispetto alle normali giovani stelle, dalla durata e dall’osservabilità di tali eventi si può concludere che la maggior parte dei sistemi solari che si stanno formando “esplodono” in questo modo una dozzina di volte mentre il disco protoplanetario li circonda», afferma Vardan Elbakyan, co-autore dello studio.
«Se il nostro modello è corretto, allora potrebbe avere profonde implicazioni per la nostra comprensione della formazione di stelle e pianeti. I dischi protoplanetari sono spesso definiti vivai di pianeti. Ma ora scopriamo che questi vivai non sono luoghi tranquilli come immaginavano i ricercatori che studiano il sistema solare primordiale: sono invece luoghi tremendamente violenti e caotici dove molti giovani pianeti – forse la maggior parte – vengono bruciati e mangiati dalle loro stelle», conclude Sergei Nayakshin della School of Physics and Astronomy dell’Università di Leicester. «Ora è importante capire se altre stelle del genere possono davvero essere spiegate con lo stesso scenario».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notice della Royal Astronomical Society l’articolo “Extreme evaporation of planets in hot thermally unstable protoplanetary discs: the case of FU Ori” di Sergei Nayakshin, James E Owen, Vardan Elbakyan