In uno studio pubblicato su Nature Astronomy, un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Napoli “Federico II”, dell’Università di Wroclaw e dell’Università di Bergen ha esaminato un modello di gravità quantistica in cui la velocità delle particelle ultrarelativistiche diminuisce al crescere dell’energia. Questo effetto dovrebbe essere estremamente piccolo, proporzionale al rapporto tra l’energia delle particelle e la scala di Planck, ma quando si osservano sorgenti astrofisiche molto distanti, può accumularsi fino a livelli osservabili.
L’indagine ha utilizzato lampi gamma osservati dal telescopio spaziale Fermi e neutrini ad altissima energia rilevati da IceCube, verificando l’ipotesi che alcuni neutrini e alcuni lampi gamma possano avere un’origine comune ma siano osservati in momenti diversi come risultato della riduzione della velocità dipendente dall’energia.
Ne abbiamo parlato con il primo autore, Giovanni Amelino-Camelia, professore di fisica teorica, modelli e metodi matematici del Dipartimento di fisica dell’Università di Napoli “Federico II”.
Professore, negli ultimi anni uno degli effetti della gravità quantistica più studiati è la dispersione nel vuoto, una presunta dipendenza energetica della velocità delle particelle ultrarelativistiche. Di cosa si tratta?
«È dispersione nel vuoto solo nel senso che la sua unica causa sarebbero proprietà intrinseche dello spaziotempo. I familiari casi in cui si verifica dispersione sono per la propagazione in un mezzo materiale. Ma una delle ipotesi centrali di molti approcci allo studio della gravità quantistica è che anche lo spaziotempo abbia dei gradi di libertà quantistici e che quindi possa avere effetti sulla propagazione delle particelle in un qualche senso simili a quello che accade per la propagazione in mezzi materiali. In particolare, questi effetti potrebbero introdurre piccolissime modifiche alla velocità delle particelle».
In che modo i neutrini ci danno informazioni sullo spaziotempo e sulla gravità quantistica?
«I neutrini sono chiaramente la sonda ideale per le proprietà microscopiche dello spaziotempo perché le loro interazioni ordinarie sono debolissime e quindi si crea una opportunità per osservare i piccoli effetti prodotti dalle proprietà quantistiche dello spaziotempo. Per un elettrone, ad esempio, altri effetti sovrasterebbero quelli prodotti dallo spaziotempo. Per i fotoni ci sono comunque gli effetti di interazione col fondo cosmico di fotoni di basse energie, che in particolare rendono il nostro universo opaco per fotoni di alta energia. I neutrini invece viaggiano indisturbati dalla sorgente ai nostri telescopi».
Cosa avete trovato nei neutrini di IceCube? E come fate a essere certi che siano stati generati da lampi gamma?
«Quando IceCube era in fase di progettazione ci si aspettava che avrebbe potuto vedere numerosi neutrini da Gamma Ray Burst (Grb). E invece in oltre un decennio di attività non ne ha visto nessuno. Un’ipotesi plausibile è che le proprietà quantistiche dello spaziotempo abbiano interferito con i criteri che IceCube usa per cercare neutrini provenienti da Grb: IceCube usa la coincidenza temporale per stabilire se un neutrino proviene da un Grb, ma se le proprietà quantistiche dello spaziotempo rallentano anche solo minutamente quei neutrini, la coincidenza temporale non sarà mai trovata. Ci siamo chiesti quanto spesso era possibile associare un neutrino a un Grb se si tiene conto del ritardo ipotizzato da alcuni modelli di gravità quantistica e abbiamo trovato una decina di possibili associazioni tra un Grb e un neutrino. Ovviamente il rischio è che le associazioni che abbiamo trovato siano fortuite (un neutrino che non c’entra nulla col Grb può capitare che finisca nella giusta finestra temporale per associarlo a quel Grb), ma l’analisi della significance statistica mostra che è piuttosto improbabile che le nostre associazioni siano fortuite. Parliamo di “evidenza preliminare” perché la situazione attuale è incoraggiante ma le nostre stesse analisi statistiche lasciano aperta la possibilità che con l’accumulo di più dati l’evidenza non venga confermata. Come sempre in scienza l’unico modo di progredire è accumulare più dati».
Quali sono gli errori sistematici che potrebbero inficiare l’analisi?
«È un’analisi piuttosto immune a errori sistematici. Come dicevo poco fa, la residua vulnerabilità sta nel fatto che l’evidenza è statistica e per ora non conclusiva, incoraggiante ma non conclusiva (e quindi solo accumulando più dati, col conseguente aumento di sensibilità della statistica, potremo stabilire come stanno davvero le cose)».
Quindi la gravità quantistica può di fatto rallentare i neutrini?
«Come spiegavo sopra, la gravità quantistica potrebbe rallentare i neutrini, ma questa non va vista come una predizione univoca della nostra area di ricerca: i modelli di gravità quantistica sono tanti e nessuno di questi modelli ha per ora nemmeno una singola “conferma” sperimentale. Stiamo appunto cercando di osservare per la prima volta una qualche manifestazione della gravità quantistica, che sarebbe una svolta epocale. Un’area di ricerca in cui le idee teoriche abbondano e i dati scarseggiano ovviamente non produce predizioni generiche… la dispersione nel vuoto c’è in alcuni modelli e non c’è in altri».
Come intendete proseguire o affinare l’analisi?
«La nostra analisi usa solo una parte dei neutrini di IceCube, i cosiddetti shower events. Per questi neutrini shower, IceCube produce una stima dell’energia piuttosto affidabile e quello è cruciale per gli studi di effetti di dispersione nel vuoto, che sono proprio proporzionali all’energia (l’energia è essenzialmente la “carica gravitazionale” di una particella e dovrebbe governare l’intensità del suo accoppiamento con le proprietà quantistiche dello spaziotempo). Per altri neutrini di IceCube si ha una stima molto più grossolana dell’energia e finora li abbiamo dovuti scartare. Stiamo provando a sviluppare tecniche di analisi statistica che possano far uso di tutti i neutrini di IceCube ma assegnando peso statistico diverso a neutrini diversi a seconda dell’accuratezza della determinazione dell’energia».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Could quantum gravity slow down neutrinos?” di Giovanni Amelino-Camelia, Maria Grazia Di Luca, Giulia Gubitosi, Giacomo Rosati e Giacomo D’Amico