C’è talmente tanto vuoto, nella maggior parte degli ambienti che esistono nell’universo, che raramente il moto dei corpi celesti che li abitano viene interrotto da incidenti. Non pensiamo alle superfici dei corpi celesti del Sistema solare, dei pianeti e dei satelliti, che un tempo erano letteralmente bombardati da meteoriti che vi cadevano sopra, bensì a quasi tutti i sistemi stellari che la fisica descrive come “non collisionali”. Le galassie, ad esempio.
Anche qui, però, vi sono delle eccezioni. Vicino al centro di alcune galassie molto massicce, in prossimità del buco nero centrale, si possono raggiungere densità di stelle talmente elevate, che lo scontro diventa inevitabile. Solo una questione di tempo. L’avevano ipotizzato da molto tempo gli astronomi, e ora finalmente l’hanno visto: un lungo lampo di luce gamma (o gamma ray burst) prodotto dallo scontro fra due corpi stellari (o fra i resti di questi). La notizia è stata pubblicata su Nature Astronomy.
Si tratta, per usare le parole degli autori, della prima esplosione di raggi gamma di origine “dinamica”. Oppure, per dirla in parole semplici, di un nuovo modo in cui possono morire – prematuramente – due stelle. La fine della vita di una stella comincia quando essa termina il suo primo combustibile per la fusione, l’idrogeno, e può durare molto tempo. Si dice, in quel momento, che la stella esce dalla sequenza principale: quel che accade dopo dipende dalla sua massa. Stelle poco massicce, stelle abbastanza massicce, stelle molto massicce. In base a questo la fine può essere catastrofica, come l’esplosione di una supernova che lascia come resto stellare una stella di neutroni o addirittura un buco nero, oppure può essere più quieta, come quella a cui andrà incontro il Sole. Anche i tempi di vita si decidono sulla base della massa: più lunghi per le stelle meno massicce, più brevi per quelle molto massicce. Il tutto, partendo dal presupposto che nulla intervenga a disturbare o alterare i processi fisici coinvolti. Cosa che non è successa nel caso analizzato qui.
Il lungo gamma ray burst identificato dal telescopio Gemini Sud del NoirLab, infatti, dimostra che alcune stelle che vivono in regioni particolarmente caotiche come il centro di una galassia, possono incontrare la loro fine in una collisione. E diventare, fra l’altro, una sorgente di energia come un lampo gamma o addirittura emettere onde gravitazionali.
Ma vediamo, più in dettaglio, com’è andata. I primi indizi di un evento di questo tipo sono stati osservati il 19 ottobre 2019, quando l’Osservatorio Swift della Nasa ha rilevato un lampo di raggi gamma poco più lungo di un minuto. Qualunque gamma ray burst che duri più di due secondi è considerato “lungo”. In generale, la maggior parte di questi deriva dal collasso di stelle massicce, mentre una piccola parte dalla fusione di oggetti compatti. In seguito alla segnalazione, i ricercatori hanno utilizzato il telescopio Gemini South per effettuare osservazioni dell’afterglow (il bagliore che segue l’esplosione) e indagare sulle sue origini. In questo modo, è stato possibile individuare la posizione dell’evento in una regione a meno di cento anni luce dal nucleo di un’antica galassia (una galassia, cioè, che ha terminato da molto tempo di formare stelle), molto vicino al suo buco nero supermassiccio. Ed è stato anche possibile comprendere che il burst è stato causato, con ogni probabilità, dalla fusione di due oggetti compatti. In questa regione, infatti, la densità di stelle è così grande da provocare occasionali collisioni stellari, soprattutto dal momento che l’influenza gravitazionale del buco nero supermassiccio può perturbare molto i moti delle stelle. Stelle che finiscono per intersecare le loro orbite e fondersi, innescando un’esplosione che porta informazione di sé fino a grandi distanze.
È possibile, secondo gli autori, che eventi del genere si verifichino di routine in altre regioni altrettanto affollate dell’universo, ma che fino a questo momento siano passati inosservati. Come mai nessuno se n’è mai accorto? Forse perché i centri galattici sono pieni di polvere e gas, che oscurano sia il lampo di luce gamma iniziale sia il bagliore che ne deriva – l’afterglow, appunto. Questo particolare evento, identificato come Grb 191019A, potrebbe rappresentare una rara eccezione. Ma anche creare un precedente. Soprattutto perché, come accennavamo prima, scontri come questo nascondono una nuova possibilità: quella di essere sorgenti di onde gravitazionali.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A long-duration gamma-ray burst of dynamical origin from the nucleus of an ancient galaxy“, di Andrew J. Levan, Daniele B. Malesani, Benjamin P. Gompertz, Anya E. Nugent, Matt Nicholl, Samantha R. Oates, Daniel A. Perley, Jillian Rastinejad, Brian D. Metzger, Steve Schulze, Elizabeth R. Stanway, Anne Inkenhaag, Tayyaba Zafar, J. Feliciano Agüí Fernández, Ashley A. Chrimes, Kornpob Bhirombhakdi, Antonio de Ugarte Postigo, Wen-fai Fong, Andrew S. Fruchter, Giacomo Fragione, Johan P. U. Fynbo, Nicola Gaspari, Kasper E. Heintz, Jens Hjorth, Pall Jakobsson, Peter G. Jonker, Gavin P. Lamb, Ilya Mandel, Soheb Mandhai, Maria E. Ravasio, Jesper Sollerman e Nial R. Tanvir
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