Un team di ricerca a cui partecipa anche l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) è riuscito a osservare le primissime fasi di un lampo di raggi gamma (Grb, dall’inglese gamma-ray burst) risultato essere il più luminoso nelle bande ottiche rilevato finora. I Grb sono fenomeni transienti esplosivi al centro di continue rivoluzioni scientifiche e l’Inaf è impegnato sia sul piano osservativo-interpretativo che con la partecipazione a grandi missioni dallo spazio per rilevarli e studiarli. I lampi di raggi gamma sono eventi tra i più violenti dell’universo, a distanza di miliardi di anni luce da noi. La loro energia viene trasferita in potentissimi getti collimati che emettono la radiazione che osserviamo. Nello specifico, i ricercatori hanno studiato Grb 220101A, il cui segnale – come dice la sigla – è stato rilevato per la prima volta il primo gennaio del 2022.
Gli autori dello studio, guidati dal Purple Mountain Observatory (Cina), hanno utilizzato un nuovo metodo sviluppato per ricavare una fotometria affidabile da fonti “catturati” dall’Ultraviolet and Optical Telescope (Uvot), uno dei tre strumenti a bordo del Neil Gehrels Swift Observatory, osservatorio spaziale della Nasa con una importante partecipazione italiana dell’Asi e dell’Inaf.
«Questa scoperta rivela le diverse origini dei brillamenti ultravioletti/ottici estremamente energetici», dice Stefano Covino, ricercatore presso l’Inaf di Milano e unico italiano tra gli autori dello studio, «e dimostra la necessità dell’osservazione ad alta risoluzione temporale nei primi istanti di evoluzione del fenomeno. Ogni evento Grb mostra dei comportamenti originali, ma in generale troviamo che anche i casi più estremi rientrano comunque nella stessa fenomenologia. Grb 220101A non fa eccezione. Non si tratta quindi di una nuova categoria di Grb ma plausibilmente di un caso estremo fra quelli già noti».
Perché allora è un caso monstre? «Il motivo è probabilmente duplice», spiega Covino. «Da una parte semplicemente accumulando più osservazioni si possono identificare casi più rari che normalmente ci sarebbe bassa probabilità di poter osservare. E in aggiunta c’è una questione tecnica che consiste nell’avere definito una procedura per poter ottenere informazioni affidabili dalle osservazioni da satellite anche quando, come in questo caso, i dati sono, come si dice tecnicamente, saturi. Questo ci ha permesso di poter avere informazioni nella primissima fase di questo evento e quindi identificare l’impressionante picco in luminosità di cui parliamo».
Grb 220101A è stato osservato da Swift, ma anche da altri telescopi spaziali come Fermi e Agile. «Come sempre quando Swift identifica un Grb si ripuntano gli strumenti di bordo, come Uvot, e si ottengono dati pochi secondi dall’identificazione dell’evento di alte energie – il Grb vero e proprio. Un ottimo risultato per uno strumento che ormai vola dal 2004”, dice Covino. «Non appena l’alert per l’identificazione è arrivato a terra, anche i telescopi ground-based hanno cominciato a osservare, e il telescopio cinese di Xinglong, da 2,2 metri, ha ottenuto la misura di distanza, tramite uno spettro, che è risultata essere il notevole valore di z=4,6. All’epoca dell’evento che ha generato questo Grb l’universo aveva poco più di un miliardo d’anni».
«Dobbiamo prima di tutto immaginare che un telescopio ottico, qualunque, riceve la radiazione luminosa da un oggetto celeste e la converte in un’immagine sul suo rivelatore. Ora, quello che accade è che, in dipendenza dalle caratteristiche del telescopio, l’immagine che si crea per un oggetto puntiforme, come le stelle o anche un Grb a distanze cosmologiche, ha una forma matematica ben precisa (tecnicamente è la Psf). Per visualizzarla», spiega il ricercatore, sottolineando il grande lavoro tecnico fatto su questo Grb, «possiamo immaginare un cappello a punta, tipo quello dei maghi, con la punta in alto e delle larghe falde intorno. Fare fotometria significa misurare bene l’estensione e l’altezza di questo ipotetico cappello. In pratica però, per eventi così brillanti, la parte centrale del “cappello” è cancellata, come tagliata, e quindi non è possibile ottenere le informazioni necessarie. Tuttavia esistono delle relazioni ben precise fra l’altezza del “cappello” e le faglie, che dipendono per telescopi nello spazio (cioè senza l’effetto dell’atmosfera) solo dalle caratteristiche tecniche del telescopio stesso. Con un lavoro davvero certosino siamo riusciti a misurare i parametri di queste relazioni e quindi a ricostruire a posteriori la forma del “cappello” in modo da ottenere le informazioni fotometriche complete. Anche questo può essere un esempio di come, anche con uno strumento che vola dal 2004, non si smetta mai di migliorare».
Nonostante i decenni di studio, i Grb continuano a mostrare sorprese. «Sembra quasi che siano un serbatoio inesauribile di comportamenti estremi ed ovviamente grandemente interessanti. Dal punto vista più modellistico ci mostrano come determinate combinazioni di parametri che portano alla prodigiosa luminosità in ottico osservata sono realmente possibili nel mondo reale. Questo ha importanti conseguenze ad esempio nel valutare l’impatto dei Grb nell’ambiente delle galassie che li ospitano», conclude Covino.
Uno dei co-autori del paper, Hao Zhou, e il primo autore, Zhi-Ping Jin, del Purple Mountain Observatory, hanno un forte legame con l’Italia. Jin è stato postdoc a Merate proprio con Covino, mentre Zhou, un giovane alla fine del suo dottorato, è attualmente in visita nella sede Inaf di Merate dove lavora con Covino.
Per ulteriori informazioni:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “An optical/ultraviolet flare with absolute AB magnitude of -39.4 detected in GRB 220101A”, di Zhi-Ping Jin, Hao Zhou, Yun Wang, Jin-Jun Geng, Stefano Covino, Xue-Feng Wu, Xiang Li, Yi-Zhong Fan, Da-Ming Wei e Jian-Yan