PUBBLICATO SU MONTHLY NOTICES OF THE ROYAL ASTRONOMICAL SOCIETY

Jwst e le super fabbriche di polveri stellari

Scovate daI telescopio spaziale James Webb grandi quantità di polvere nei getti di due supernove di tipo II a 22 milioni di anni luce da noi. Lo studio cerca di indagare sull'origine della polvere cosmica che ha formato i pianeti e l'Universo primordiale, e la grande massa trovata nelle due supernove supporta la teoria secondo cui queste hanno avuto un ruolo chiave nella produzione di polvere nell'universo primordiale

     06/07/2023

Immagine della galassia a spirale Ngc 6946 con in evidenza le due supernove, Sn 2004et e Sn 2017eaw, realizzata dalla fotocamera Miri (Mid-Infrared Camera) di Jwst. Sono visibili le frecce della bussola, la barra di grandezza in scala e la chiave cromatica di riferimento. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Ori Fox (Stsci), Melissa Shahbandeh (Stsci), Alyssa Pagan (Stsci)

Grazie alle recenti osservazioni del telescopio spaziale James Webb di Nasa, Esa e Csa, sono stati fatti passi da gigante nel confermare l’origine della polvere nelle galassie primordiali.

L’analisi di due supernove di tipo II, la supernova 2004et (Sn 2004et) e la supernova 2017eaw (Sn 2017eaw), ha rivelato che durante il collasso vengono rilasciate grandi quantità di polvere all’interno dei getti di materiale stellare. Questa scoperta aiuterebbe gli scienziati che da decenni si interrogano sull’origine della polvere nell’Universo primordiale e confermerebbe il ruolo chiave delle supernove in tale processo.

La polvere è uno dei principali elementi costitutivi di molti corpi celesti nell’Universo, in particolare dei pianeti. Quando una stella muore diffonde polvere nello spazio, rendendola disponibile durante la nascita delle successive generazioni di stelle e dei loro pianeti intorno. Da dove arrivi questa polvere è però una domanda ancora aperta e senza risposte definitive. Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, l’esplosione di supernove potrebbe essere una fonte significativa di polvere cosmica: il gas residuo infatti, espandendosi e raffreddandosi, formerebbe la polvere.

«Finora le prove dirette di questo fenomeno erano scarse. Con le nostre precedenti capacità, è stato possibile studiare le polveri in una sola supernova relativamente vicina, la Supernova 1987A, a 170 mila anni luce dalla Terra, osservata dal radio telescopio Alma», spiega l’autrice principale del recente studio, Melissa Shahbandeh della Johns Hopkins University e dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, nel Maryland. «Quando il gas si raffredda a sufficienza per formare la polvere, questa è rilevabile solo a lunghezze d’onda del medio infrarosso, a patto di avere una sensibilità sufficiente».

Per questo era necessario attendere Webb. Le osservazioni fatte dal telescopio spaziale infrarosso sono state quindi il primo importante passo avanti nello studio della produzione di polvere dalle supernove: per studiare stelle più distanti di Sn1987A, come la Sn 92004et e la Sn 2017eaw – che si trovano a circa 22 milioni di anni luce di distanza nella galassia Ngc 6946 – lo strumento Mid-Infrared Instrument di Webb è essenziale. Offre infatti una combinazione perfetta fra ampiezza di copertura in termini di lunghezza d’onda ed elevata sensibilità.

Un altro risultato particolarmente intrigante della ricerca è la misura della quantità di polvere rilevata nella fase iniziale della vita della supernova, in una piccola frazione della sua età totale: in Sn 2004et, i ricercatori hanno infatti trovato più di 5 mila masse terrestri di polvere, il quantitativo più elevato mai misurato in una supernova dopo lo studio di Sn 1987A.

Immagine della galassia a spirale Ngc 6496 che mostra la posizione delle supernove Sn 2004et e Sn 2017eaw a 22milioni di anni luce dalla Terra. Crediti: Kpno, Nsf’s NoirLab, Aura, Alyssa Pagan (Stsci)

Ma quanta di questa polvere riesce a sopravvivere agli shock interni che si riverberano in seguito all’esplosione della stella? Questo è il nuovo quesito che si sono posti gli scienziati. La presenza di una tale quantità di polvere in una determinata fase della vita di Sn 2004et e Sn 2017eaw suggerirebbe che essa possa effettivamente sopravvivere all’onda d’urto, rendendo le supernove importanti “fucine” di polvere cosmica. Inoltre, secondo il team di ricerca, le stime attuali della massa misurata potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Se da un lato l’occhio infrarosso di Webb ha permesso ai ricercatori di misurare polveri più fredde di sempre, dall’altro potrebbero essercene altre ancora più fredde, non rilevate poiché irradiano a lunghezze d’onda ancora più rosse o perché rimangono oscurate dagli strati di polvere più esterni. Infine, le osservazioni finora fatte hanno dimostrato agli astronomi che galassie giovani e lontane sono piene di polvere. Tuttavia, queste non sono abbastanza vecchie da aver consentito alle stelle di massa intermedia come ad esempio il Sole, che hanno un tempo di vita più lungo, di fornire polvere durante il processo di “invecchiamento”. In quelle galassie, infatti, solamente le stelle più massicce e meno longeve – e presenti in maggiore quantità – avrebbero avuto il tempo di collassare per creare tanta polvere.

Questi interrogativi sottolineano come le nuove scoperte siano solo un accenno alle nuove possibilità di ricerca sulle supernove e sulla polvere stellare aperte dal James Webb Space Telescope. Le supernove Sn 2004et e Sn 2017eaw sono solo i primi due dei cinque target inclusi nell’ambito del programma di osservazione Webb General Observer 2666.

«C’è un crescente entusiasmo nel capire come e se la polvere potrà fornire anche informazioni sul nucleo della stella che l’ha prodotta esplodendo», conclude Ori Fox, ricercatore allo Space Telescope Science Institute e a capo del programma di osservazione con Webb. «Sicuramente in futuro, dopo aver esaminato tutti i risultati, i colleghi del team troveranno ulteriori strade per studiare queste supernove polverose».

Per saperne di più:

  • Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “JWST observations of dust reservoirs in type IIP supernovae 2004et and 2017eaw “ di Melissa Shahbandeh, Arkaprabha Sarangi, Tea Temim, Tamás Szalai, Ori D Fox, Samaporn Tinyanont, Eli Dwek, Luc Dessart, Alexei V Filippenko, Thomas G Brink, Ryan J Foley, Jacob Jencson, Justin Pierel, Szanna Zsíros, Armin Rest, WeiKang Zheng, Jennifer Andrews, Geoffrey C Clayton, Kishalay De, Michael Engesser, Suvi Gezari, Sebastian Gomez, Shireen Gonzaga, Joel Johansson, Mansi Kasliwal, Ryan Lau, Ilse De Looze, Anthony Marston, Dan Milisavljevic, Richard O’Steen, Matthew Siebert, Michael Skrutskie, Nathan Smith, Lou Strolger, Schuyler D Van Dyk, Qinan Wang, Brian Williams, Robert Williams, Lin Xiao e Yi Yang