Se prendessimo un granello di sabbia, lo posizionassimo tra l’indice e il pollice e poi stendessimo il braccio di fronte a noi, la piccola zona del nostro campo di vista coperta dal granellino sarebbe simile alla porzione di universo catturata dal telescopio spaziale James Webb nel Primo campo profondo, una fotografia che racchiude la storia dell’universo.
Lo studio del cosmo, si sa, non avviene perlustrandolo fisicamente. Quello che possiamo limitarci a fare, tenendo i piedi a Terra o grazie ai veicoli spaziali in volo nei pressi del Sistema solare, è raccogliere la luce emessa dalle diverse sorgenti, che porta con sé importanti informazioni sulla sorgente stessa che l’ha prodotta. Per raggiungerci, però, la luce ha bisogno di tempo.
Partiamo dal Sole, che dista da noi 150 milioni di chilometri – una quantità inafferrabile per le nostre menti ma insignificante per le scale dell’universo. Questa lunghezza viene attraversata dalla luce in otto minuti. Ciò vuol dire che i raggi che partono dalla nostra stella in questo momento ci arriveranno solo tra otto minuti e quindi l’immagine che vediamo in cielo è (e sempre sarà) quella di un Sole vecchio, seppure solo di otto minuti.
Allontanando di poco lo sguardo sulla stella più vicina al Sole, osserveremo Proxima Centauri come era circa quattro anni fa mentre di Andromeda, la nostra galassia gemella, cattureremo una luce che ha impiegato due milioni e mezzo di anni per arrivare fino alla Terra, partita in un’epoca nella quale sul nostro pianeta non era ancora comparso il genere Homo.
Spingendo gli occhi ancora oltre, vedremo galassie sempre più lontane, così distanti da noi da riceverne un’immagine che ha viaggiato anche per miliardi di anni prima di raggiungerci. Con i potenti occhi del James Webb potremo allora scovare le prime galassie dell’universo, quelle che si sono accese durante la cosiddetta “alba cosmica”, appena qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang. Alcune di loro sono nascoste proprio lì, tra i puntini del Primo campo profondo.
Quella che riceviamo dal cielo, in fin dei conti, è sempre luce del passato, e guardare più lontano nell’universo significa anche vedere più indietro nel tempo. Il James Webb non è allora un semplice telescopio, ma rappresenta a tutti gli effetti una potente e sofisticatissima macchina del tempo.
Testo preparato da Edwige Pezzulli per la puntata di “Noos – L’avventura della conoscenza” andata in onda su Rai 1 giovedì 6 luglio 2023, disponibile su RaiPlay, e riproposto su Media Inaf per gentile concessione dell’autrice.
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https://www.youtube.com/watch?v=LMV86tVEbYs