Fin dalla scoperta casuale di Cerere, fatta da Giuseppe Piazzi il 1 gennaio 1801 dal Regio Osservatorio di Palermo, gli asteroidi si scoprono sfruttando il loro movimento angolare sulla sfera celeste, riflesso del moto orbitale attorno al Sole e degli stessi movimenti della Terra che cambiano il punto di osservazione nello spazio. Piazzi osservava con l’occhio all’oculare del telescopio misurando la posizione delle stelle in cielo: per questo si accorse che quella che sembrava una stella si era spostata rispetto alla posizione misurata nei giorni precedenti, rivelando così la sua natura di corpo del Sistema solare. Dopo l’invenzione della fotografia, la scoperta di nuovi asteroidi ha fatto notevoli progressi, che si sono accentuati con l’utilizzo dei dispositivi Ccd/Cmos, molto più sensibili alla radiazione delle vecchie lastre fotografiche. La tecnica attuale, che si utilizza per la scoperta di nuovi asteroidi near-Earth (Nea, quelli a potenziale rischio di collisione con la Terra), è la seguente: si riprendono almeno 4 immagini con pose dell’ordine di 30 secondi dello stesso campo stellare a intervalli di tempo di circa 10 minuti l’una dall’altra e si confrontano fra loro alla ricerca di punti di luce che abbiano cambiato posizione. Si tratta di una ricerca che va fatta esaminando tutto il campo di vista, perché non si sa dove si trovano gli asteroidi ancora da scoprire: la probabilità di successo aumenta all’aumentare del diametro del telescopio e dell’ampiezza del campo di vista.
La ricerca degli asteroidi, però, non può più essere fatta visualmente dall’astronomo: se il campo di vista è grande e la magnitudine limite elevata i punti di luce da ispezionare possono essere decine di migliaia, un’operazione che per un essere umano richiede troppo tempo per essere efficiente. Inoltre, nel campo di vista possono esserci asteroidi già noti, oppure tracce di raggi cosmici o pixel caldi, tutti elementi che vanno scartati. Per “scremare”, nel modo più semplice e rapido possibile, tutti i potenziali asteroidi e presentare all’astronomo solo quelli più sicuri, è meglio demandare questo lavoro preliminare a un software per la ricerca automatica. Il software, che codifica un algoritmo di ricerca, è scritto dagli astronomi e fa le stesse cose dell’essere umano, solo che è molto più rapido ed efficace.
Presto diventerà operativo il Vera C. Rubin Observatory, situato sul Cerro Pachón nel nord del Cile. L’osservatorio sarà dotato di un telescopio da 8,4 metri di diametro che avrà un campo di vista di 9,6 gradi quadrati. Dal momento dell’entrata in funzione e per i prossimi 10 anni, ogni notte serena il telescopio produrrà 15 TB di immagini a grande campo della sfera celeste che potranno essere usate per molteplici scopi fra cui la ricerca di nuovi asteroidi near-Earth. Chiaramente la sfida più importante con questo tipo di strumento non è la costruzione o la ripresa delle immagini, ma l’estrazione delle informazioni dall’enorme mole di dati prodotta ogni giorno. Per quanto riguarda la detection dei Nea, è in fase avanzata di realizzazione e test l’algoritmo HelioLinc3D, in grado di fare il collegamento fra diverse misure di posizione dello stesso asteroide, anche se le osservazioni sono sparse su più giorni, meglio di quanto possano fare gli algoritmi attuali. Il link delle osservazioni astrometriche è essenziale per ottenere l’orbita eliocentrica dell’asteroide così da stimare l’eventuale data e probabilità d’impatto con la Terra.
L’algoritmo è sviluppato principalmente da Ari Heinze dell’Universita di Washington che, in attesa che entri in funzione il Vera C. Rubin Observatory, lo sta testando su dataset già esistenti. Analizzando le immagini del dataset del sistema Atlas (Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System) riprese attorno al 19 settembre 2022, HelioLinc3D ha fatto la detection del suo primo near-Earth, ora chiamato 2022 SF289, quando era a circa 21 milioni di km dalla Terra. Atlas aveva osservato il Nea per tre volte in quattro giorni distinti senza raggiungere la soglia delle quattro osservazioni a notte necessarie per poter segnalare la scoperta al Minor Planet Center. Quindi, mentre l’algoritmo di Atlas ha fallito nel misurare quattro posizioni a notte perché l’asteroide era al limite delle possibilità dello strumento, HelioLinc3D è riuscito a determinare un’orbita usando osservazioni fatte in giorni diversi.
In questo modo diventa possibile la scoperta di asteroidi near-Earth che sono al limite delle capacità strumentali e che, ad esempio, diventano visibili per breve tempo e a distanza di ore per effetto della rotazione dell’asteroide attorno al proprio asse. Dopo la scoperta di 2022 SF289, andando ad analizzare le immagini riprese negli stessi giorni da Pan-Starrs e dalla Catalina Sky Survey, è stato possibile ritrovare l’asteroide e confermarlo. Anche in questo casi era al limite strumentale e non era stato riconosciuto. Per la cronaca, 2022 SF289 è un asteroide di circa 180 metri di diametro che può arrivare alla minima distanza di 223mila km dalla Terra, ma che non ha una probabilità di impatto significativa per i prossimi decenni. La scoperta di questo nuovo asteroide è stata annunciata nella circolare Mpec 2023-O26 : 2022 SF289 del Minor Planet Center.
Il test di HelioLinc3D ci fa capire quale sarà uno dei punti di forza dell’astronomia del prossimo decennio: l’analisi di immense quantità di dati con algoritmi sempre più sofisticati. Naturalmente però, l’ultima parola spetta sempre all’astronomo: per quanto sofisticato, nessun algoritmo potrà mai sostituire la mente umana.
Guarda il video (in inglese) dell’Universita di Washington: