Prosegue il progetto A sign in space, che lo scorso 24 maggio ha simulato uno scenario di “primo contatto” con l’invio di un messaggio simil-alieno da Marte verso la Terra. Questa performance interplanetaria, orchestrata dall’artista multimediale Daniela de Paulis in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea, che ha messo a disposizione una delle sue sonde in orbita marziana per la trasmissione, e l’Istituto nazionale di astrofisica, il Seti Institute e il Green Bank Observatory, che hanno sfoderato i loro radiotelescopi per la ricezione del segnale, ha messo in moto una sfida globale – attualmente ancora in corso – per decifrare la misteriosa comunicazione.
I dati catturati dai tre osservatori sono stati subito resi disponibili sul sito del progetto, invitando il pubblico a interrogarsi sul contenuto del messaggio, ideato dall’artista insieme a un astrofisico e un informatico. Per ospitare le conversazioni sul tema, è stato predisposto un apposito canale sulla piattaforma online Discord. La prima parte della decodifica, individuare il messaggio all’interno dell’enorme pacchetto di dati ricevuti a terra, è stata piuttosto rapida. Dopo circa una settimana, infatti, un gruppo di utenti ha svelato l’arcano, scovando il file binario di 8.212 byte che racchiude il messaggio: una sequenza di zeri e uni, per la precisione 65.696 (per lo più zeri: chi volesse darci un’occhiata, può trovarlo qui).
La vera difficoltà, tuttavia, è afferrarne il significato. Cosa avrà voluto dire l’artista con questa sequenza che simula un segnale inviato verso le immensità cosmiche da una lontana civiltà extraterrestre? È la domanda che si pongono da più di due mesi coloro che hanno raccolto la sfida. In quasi cinquemila si sono registrati su Discord, dove diverse centinaia di persone sono attive giornalmente, dibattendo possibili chiavi di lettura per cercare di interpretare collettivamente il contenuto della trasmissione. Nonostante la discussione molto vivace, il contenuto del messaggio, a oggi, rimane segreto. Media Inaf ha raggiunto l’artista de Paulis a Rotterdam, dove risiede, per conoscere gli ultimi sviluppi di questa iniziativa in cui il confine tra arte e scienza, se mai ce n’è stato uno, si fa assolutamente impalpabile.
A poco più di due mesi dalla performance, a che punto siamo nell’interpretazione del messaggio?
«Sono state tirate fuori tantissime idee, e ho ricevuto oltre ottocento proposte ispirate al progetto, alcune puramente grafiche, altre anche in 3d. Chi ha scritto un testo, chi addirittura un paper. Insomma, tantissimi tipi di riscontro, ma ancora non c’è un progresso particolare. È una dinamica interessante: procedono in maniera molto irregolare. A volte sembra che si stiano avvicinando alla soluzione, poi si riallontanano. Mi fa pensare al moto degli insetti verso i fiori, che si avvicinano e si allontanano sulla base dell’odore».
Quali idee hanno proposto?
«In questa fase di interpretazione, i partecipanti stanno trovando significati che vanno molto al di là di quello che volevo creare. Il messaggio se vogliamo è anche molto minimalista, ma loro stanno trovando dei significati molto interessanti, che stanno arricchendo molto quello originale. Tra le idee più interessanti c’è una conversione del segnale in codice Morse, c’è chi usa software di intelligenza artificiale come Chat Gpt, chi fa riferimento al modello matematico dell’automa cellulare, chi agli insetti… Alcuni usano la sonificazione, e poi sicuramente il gruppo più numeroso sta cercando di interpretare il messaggio in chiave della novella ‘Un segno nello spazio’ di Italo Calvino. Molti hanno letto le Cosmicomiche o quanto meno il racconto grazie al progetto, e il personaggio Qfwfq viene nominato spesso».
Quanti sono i partecipanti alla discussione, e che profilo hanno?
«Adesso ci sono circa trecento persone attive: sviluppatori di software, artisti, filosofi. Si parlano tra loro per capire il messaggio. Non mi pare di aver visto linguisti, il che è interessante. Sembra che abbiano un misto di età, ci sono anche dei pensionati. C’è sempre qualcuno attivo online, quindi deduco che ci siano partecipanti su quasi tutti i fusi orari».
Che cosa succederà se qualcuno propone la soluzione giusta?
«Questo ho dovuto un po’ chiarirlo su Discord. Da artista dò per scontate molte cose. Non puoi decodificare il messaggio se non lo interpreti mentre lo decodifichi. Quando qualcuno darà un’interpretazione che coincide con quella che ho dato io insieme ai miei collaboratori, diremo: Ok, avete trovato il messaggio che abbiamo creato noi. Ma a quel punto si apre una nuova discussione: allora inizia la vera conversazione sul significato del messaggio. Perché ha un certo significato che si presta molto alla discussione, anche filosofica».
Dunque se qualcuno volesse cimentarsi adesso con l’interpretazione, approfittando magari delle vacanze, è ancora possibile?
«Certo, anche se può essere un po’ difficile per qualcuno che si aggiunge adesso. È come vedere un film iniziato a metà. Sono stati già postati dodicimila messaggi solo nella chat di interpretazione, che è la più attiva, e poi ci sono una quarantina di chat minori. Per chi volesse cimentarsi ora da zero, conviene leggere un po’ la discussione già fatta, per non reinventare la ruota. Uno degli utenti, Batch Drake, sta creando una Wiki per organizzare tutte le idee più quotate, così che tutti coloro che arrivano da zero possano fare il punto rapidamente. Sarà utile a tutti».
Si è creata una piccola comunità intorno a questo messaggio. Era quello che si aspettava?
«Era difficile immaginare come avrebbe reagito il pubblico. Non mi aspettavo questa reazione così globale, così diversa e questo tipo di partecipazione su Discord. Pensavo che la gente avrebbe lavorato indipendentemente, magari con un gruppetto di amici, mandando la risposta tramite il sito, ma invece la piattaforma ha contribuito, con tutti i suoi limiti, a creare uno spirito di comunità».
È interessante anche vedere quanto interdisciplinare sia questa comunità…
«Questo è stato facilitato dai vari workshop organizzati insieme al Seti Institute su temi disparati, dalla poesia alla religione all’antropologia. Aiutano a mantenere il progetto aperto e interdisciplinare. Chi arriva su Discord atterra da vari canali: c’è chi ha letto un articolo su un quotidiano, chi su una rivista di fantascienza, tutte le radio ne hanno parlato».
Come funziona la collaborazione in un gruppo così variegato?
«Chi ha più esperienza in crittografia va avanti nella decodifica, alcuni tendono a seguire cosa dicono gli altri, ma è un ambiente molto collaborativo, c’è tanta conversazione. Le idee sono concatenate, si sviluppano l’una dall’altra, anche se poi ci sono cambi di direzione improvvisi come gruppo. Sicuramente si influenzano a vicenda. Tutti sono a conoscenza di quello che scrivono tutti, ogni tanto si aggiunge qualcuno di nuovo ma ormai si conoscono tutti, alcuni lavorano anche offline in gruppetti. La chat di interpretazione è la stanza principale, poi ci sono le altre stanzette: se qualcuno ha un’idea, crea un nuovo piccolo gruppo per lavorare ad esempio sul codice Morse, poi tornano tutti nel gruppo principale».
E lei, come fa a tenere le fila di tutto?
«Ho sempre la pagina di Discord aperta, leggo ogni volta che arrivano le notifiche, altrimenti si accumulano. Cerco di fare un riassunto ogni due, tre giorni. Ultimamente non ci sono stati grandi progressi. Le visite al sito si sono assestate su un valore stabile di 4500 a settimana. Ogni tanto escono nuovi articoli sulla stampa, quindi si rinnova l’interesse».
Ci sono state anche delle tensioni?
«C’è stata per esempio una critica da parte di alcuni che hanno un approccio scientifico, verso un altro decoder che ha sì un approccio scientifico ma in ogni post parla anche di sé, della sua vita. È come se questa comunità fosse una microsocietà, un piccolo villaggio. Essendo un processo che si evolve in tempo reale, come direttore artistico del progetto mi pongo sempre domande su come relazionarmi ad esso. Quando vedo situazioni strane, mi chiedo se intervenire o lasciare che la comunità si organizzi da sola. Chiaramente rimane un po’ questa sottile differenza tra evento di outreach e performance art. Per il successo, i partecipanti devono collaborare: non è solo un hackathon ma ci sono voci anche diverse che devono essere ascoltate».
In questi casi, come ha deciso di procedere?
«Nei primi giorni non riuscivo a dormire, temevo che ci sarebbe stata l’anarchia totale. Ma per fortuna hanno trovato tutti posto e sono riusciti a collaborare. Ho imparato ad avere fiducia del pubblico: anche se ci sono dei piccoli attriti, si risolvono da soli».
Prima ha usato la parola decoder per descrivere chi partecipa alla sfida. Vuole spiegarci meglio?
«Per me non sono giocatori, sono partecipanti, partecipano alla decodifica quindi sono decoder. Sono persone, e piano piano sta emergendo la personalità di questi attori. Ecco, la parola più adatta è attori perché sono partecipanti attivi di questa performance. Si sta creando un testo teatrale, un po’ come nella commedia dell’arte. Adesso si inizia a capire chi è chi. Si sentono parte del progetto, sono performer. Lo chiamano “our project”. Siccome il progetto è un ibrido tra performance art, citizen science e alternate reality game (un tipo di gioco che mischia elementi di internet e del mondo reale attraverso uno storytelling transmediale) ci sono persone che si esprimono in modo diverso: chi con idee filosofiche, chi con immagini, suoni, per creare una storia come gruppo. La definizione del progetto è meglio che rimanga aperta: non solo un progetto d’arte, non solo di public engagement. Ho capito che l’arte è una parte di tutto quello che succede, non necessariamente la parte dominante.
Di quali temi parlano questi attori mentre cercano di decodificare il messaggio?
«Hanno fatto un sacco di brainstorming su come comunicare con una civiltà extraterrestre e si stanno facendo domande molto profonde sulla comunicazione. Il processo di messa in discussione dell’antropocentrismo, che abbiamo fatto per oltre un anno nel team prima di creare il messaggio, sta avvenendo anche nella comunità su Discord. Inevitabilmente si stanno ponendo tutte queste domande, altrimenti non potrebbero proprio trovare la strada che li metta in direzione verso la soluzione».
Sta già pensando a una forma da dare a tutte queste conversazioni?
«Ci vorrà un periodo di tempo per catalogare tutto, per cercare di cristallizzarlo e rendere l’idea di ciò che è successo. Mi chiedo se riuscirò a organizzare tutti i contributi, ce ne sono alcuni completamente “out of this world”. Forse cercherò di realizzare una performance con i personaggi ispirati al progetto. C’è anche dell’umorismo, che esce fuori quando sono disperati, quando hanno esaurito le idee. Ho messo in evidenza anche quello».
Sulla base di questa esperienza, come crede che reagirebbe il pubblico a una situazione reale di “primo contatto” con una civiltà aliena?
«Questo scenario ha suggerito sicuramente qualcosa agli scienziati del Seti. L’unico che avevano in mente prima era qualcosa tipo War of the Worlds (uno sceneggiato radiofonico trasmesso nel 1938 – ndr): più concreto, minaccioso. Se non altro, questo è un piccolo test di quella che potrebbe essere la reazione del pubblico e permetterà di aggiornare la ricerca in materia. Diversi paper che ho letto su scenari di post-detection prevedono il panico. Invece ho ricevuto solo reazioni positive: stupore, entusiasmo, addirittura desiderio di contatto, il che è molto toccante. Forse adesso inizierà a circolare qualche altra idea. Se succedesse davvero, sicuramente tutte queste reazioni sarebbero amplificate. È un evento che come umanità non abbiamo ancora vissuto. Pensandoci meglio, credo che la reazione sarà un misto di emozioni mai provate prima: dall’entusiasmo estremo alla paura e tutto quello che c’è in mezzo. Dovremo proprio dargli un nuovo nome».
Quanto manca alla soluzione, secondo lei?
«È difficile a dirsi. Forse due settimane, un altro mese, di più… A me non preoccupa la durata del processo, ma sto pensando a come strutturarlo se continuerà. Si potrebbe fare una mini conferenza in cui ciascuno presenta la sua teoria: la scienza come performance, pensando a chi si occupa della decodifica come attore, che crea nuova conoscenza, nuove idee. In fondo è quello che fa lo scienziato, che facciamo tutti noi che lavoriamo nel campo culturale. Un modo per mettere in evidenza che tutto ciò che è scienza e cultura è una forma della conoscenza umana e che ci immedesimiamo in ciò che creiamo, che inventiamo in questa performance nell’universo».
Per saperne di più:
- Visita il sito del progetto A sign in space (in inglese)
- Segui il processo di decodifica e interpretazione del messaggio sul sito del progetto
- Partecipa all’interpretazione sulla piattaforma Discord
- Disegna il tuo “segno” e invialo ai membri del progetto