Fino a che punto può fare caldo, su un oggetto che non sia una stella? E cosa accade, su mondi con temperature estreme? Per capirlo, gli astronomi studiano una classe in particolare di pianeti, i cosiddetti hot Jupiters – i gioviani caldi. Giganti gassosi con massa paragonabile o superiore a quella di Giove ma in orbita strettissima attorno alla propria stella – molto più di quanto non lo sia quella di Mercurio attorno al Sole. Mondi come Kelt-9b, che con una temperatura sul lato illuminato di 4600 kelvin è a oggi l’esopianeta più caldo che si conosca. Ma un nuovo esemplare, un oggetto la cui scoperta è riportata questa settimana su Nature Astronomy, promette ora di spingere la comprensione a temperature ancora più estreme. Temperature alle quali le atmosfere evaporano e le molecole si spezzano. Temperature più alte di quella del Sole.
È un oggetto di confine tra una stella e un pianeta: una nana bruna, in orbita attorno a una un’altra nana ma di tipo completamente diverso – una nana bianca, ovvero una stella giunta al termine del suo processo evolutivo – a circa 1400 anni luce da noi. L’esistenza di questa nana bruna è emersa analizzando 16 spettri della nana bianca acquisiti fra l’agosto del 2019 e il dicembre del 2020 con lo spettrometro per raggi ultravioletti Uves del Very Large Telescope dell’Eso, a Paranal (Cile). Spettri dai quali è emerso che Wd 0032–317 è in realtà un sistema binario.
«Quando abbiamo messo insieme gli spettri e visto che mostravano chiari segni di variazioni periodiche da due oggetti diversi e associati», ricorda uno degli autori dello studio pubblicato su Nature Astronomy, Filippo Mannucci, astrofisico all’Inaf di Arcetri, «abbiamo capito di avere tra le mani un sistema veramente unico nel suo genere: un oggetto simile a Giove ma più caldo del Sole».
Molto più caldo. La nana bruna (il cui nome completo è Wd 0032-317 B) orbita attorno alla nana bianca in rotazione sincrona, ovvero mostrandole sempre lo stesso emisfero, come fa la Luna con la Terra. Ebbene, nell’emisfero perennemente illuminato – irraggiato dalla radiazione ultravioletta estrema (Euv) emessa dalla nana bianca – la temperatura superficiale della nana bruna arriva a 8000 gradi kelvin (oltre 7700 °C). Facendone l’oggetto di questo tipo più caldo che si conosca. «Circa 2000 gradi in più rispetto alla superficie del Sole», sottolinea la prima autrice dello studio, Na’ama Hallakoun, ricercatrice postdoc al Weizmann Institute of Science, in Israele. Sul lato opposto, quello sempre in ombra, la temperatura si aggira invece attorno ai 2000 gradi kelvin: dunque ci sono ben 6000 gradi di differenza fra i due emisferi.
Certo, non stiamo parlando di un vero gioviano caldo, ma di quello che gli astronomi più propriamente chiamano hot Jupiter-like object, vale a dire un oggetto – una nana bruna, appunto, dunque una “stella fallita”, troppo piccola per accendersi – che assomiglia a un gioviano caldo. In particolare, Wd 0032-317 B ha «una massa 80 volte superiore a quella di Giove compressa nelle dimensioni di Giove», spiega Hallakoun. Questa densità estrema, continua la ricercatrice, «le permette di sopravvivere intatta e di formare un sistema binario stabile», senza che la compagna nana bianca le risucchi il gas di cui è fatta.
Dal punto di vista dello studio di mondi estremi, oltre alla temperatura record, l’enorme interesse per questa nana bruna è dovuto al fatto che è relativamente semplice osservarla. Queste perché le sue dimensioni, molto maggiori di quelle della nana bianca, fanno sì che la luce di quest’ultima non finisca per oscurare l’emissione della nana bruna – come invece avviene con l’accecante luce delle stelle attorno alle quali orbitano i gioviani caldi. «Questo la rende un laboratorio perfetto per i futuri studi sulle condizioni estreme che si possono incontrare sugli hot Jupiters», conclude Hallakoun.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “An irradiated-Jupiter analogue hotter than the Sun”, di Na’ama Hallakoun, Dan Maoz, Alina G. Istrate, Carles Badenes, Elmé Breedt, Boris T. Gänsicke, Saurabh W. Jha, Bruno Leibundgut, Filippo Mannucci, Thomas R. Marsh, Gijs Nelemans, Ferdinando Patat e Alberto Rebassa-Mansergas