Grazie agli strumenti attualmente esistenti, si è imparato molto sui corpi celesti più grandi e luminosi del Sistema solare. Ma gli astronomi non si accontentano e vorrebbero cercare più a fondo, per vedere se si trovano, nell’oscurità tra i pianeti, piccoli corpi che hanno avuto origine in sistemi planetari diversi.
Sebbene siano abbastanza convinti che sia così, ossia che esistano molti oggetti interstellari che probabilmente attraversano regolarmente il Sistema solare, a oggi ne sono stati confermati solo due: ʻOumuamua nel 2017 (noto anche come 1I/2017 U1) e la cometa 2I/Borisov nel 2019. I due oggetti sono stati scoperti grazie a un grande tempismo, molto impegno e un pizzico di fortuna: questi piccoli e deboli viaggiatori interstellari sono risultati visibili solo quando erano abbastanza vicini e quando sono stati inquadrati dai telescopi, che dovevano quindi puntare nel posto giusto al momento giusto.
Con l’imminente Legacy Survey of Space and Time (Lsst) condotta con l’Osservatorio Vera C. Rubin – che fotograferà, nel corso di dieci anni, l’intera volta celeste notturna dell’emisfero australe visibile dal Cile settentrionale – gli scienziati si aspettano di trovarne molti di più.
Ma perché ci si aspetta che siano parecchi questi visitatori interstellari?
Il Sistema solare si è originato da un’enorme nube di gas e polvere che collassò per formare nuove stelle, tra cui il Sole. Le stelle inghiottirono la maggior parte degli ingredienti cosmici, ma ciò che rimase attorno a ogni stella formò planetesimi di dimensioni comprese tra decine di metri e pochi chilometri. Alcuni di questi si unirono a formare pianeti, lune e anelli, ma migliaia di miliardi di planetesimi rimasti hanno continuato a orbitare attorno alle loro stelle ospiti.
Con l’aiuto delle osservazioni del Sistema solare e di simulazioni al computer, gli scienziati ipotizzano che la gravità dei pianeti più grandi e il passaggio ravvicinato con le stelle spesso “fiondi” la maggior parte di questi planetesimi lontano dai loro sistemi, nelle rispettive galassie. Viaggiando nello spazio, non legati a nessuna stella, prendono il nome di oggetti interstellari.
«I sistemi planetari sono un luogo di cambiamento e crescita, di scultura e rimodellamento», dice Michele Bannister della University of Canterbury, in Nuova Zelanda. «I pianeti sono come corrispondenti attivi in quanto possono spostare migliaia di miliardi di minuscoli planetesimi nello spazio galattico».
Se i pianeti sono i corrispondenti, gli oggetti interstellari sono telegrammi contenenti preziose informazioni sui sistemi planetari distanti e su come si sono formati. «Calcoliamo che ci siano molti di questi piccoli mondi nel nostro Sistema solare, in questo momento», sostiene Bannister. «Non riusciamo ancora a trovarli perché non siamo abbastanza sensibili».
Utilizzando un telescopio di 8,4 metri dotato della fotocamera digitale con la più alta risoluzione al mondo – circa 3,2 gigapixel – Rubin rileverà oggetti interstellari più deboli di quanto siamo mai stati capaci di vedere. Inoltre, il telescopio può scansionare l’intero cielo visibile in poche notti, catturando un timelapse degli oggetti interstellari durante i loro veloci viaggi attraverso il Sistema solare.
Sebbene ‘Omuamua e 2I/Borisov siano entrambi oggetti interstellari, hanno caratteristiche molto diverse. Come saranno i nuovi oggetti interstellari che verranno trovati? Entro il primo anno della survey decennale che dovrebbe iniziare nel 2025, gli scienziati si aspettano di poter dare una risposta a questa domanda. «Passeremo da uno studio di due singoli oggetti a uno studio di una popolazione di almeno una dozzina», conclude Bannister.
Per ora, gli scienziati possono solo fare previsioni su quanti oggetti interstellari rivelerà Rubin. Bannister scherzosamente scommette su 21, ma in realtà dice che non ne hanno ancora idea. Qualunque sia il risultato, l’Osservatorio Rubin è pronto a rivoluzionare gli studi sul Sistema solare, insieme a molte altre aree dell’astronomia e dell’astrofisica.