“Non trovo grasso più amabile di quello che è attaccato alle mie ossa”, cantava di sé stesso Walt Whitman in Foglie d’erba. Lo stesso potrebbero dire, e a ragion veduta, i 14 astronauti che hanno partecipato a uno studio, guidato da Tammy Liu del Bone and Joint Research Laboratory dell’ospedale di Ottawa (Canada), pubblicato il 9 agosto su Nature Communications. Al rientro da missioni di sei mesi sulla Iss, mostravano tutti segni evidenti di “anemia spaziale”, condizione clinica dovuta al fatto che durante la permanenza nello spazio il corpo umano distrugge in media, stando a precedenti studi, il 54 per cento in più di globuli rossi rispetto a quanto avviene normalmente qui sulla Terra. Ma successive analisi eseguite a distanza di sei settimane, sei mesi e un anno dal rientro sulla Terra hanno mostrato concentrazioni di globuli rossi nel sangue via via sempre più normali, fino al ristabilirsi delle condizioni fisiologiche. Tutto grazie all’aiuto del grasso midollare.
«Abbiamo scoperto che gli astronauti, circa un mese dopo il rientro sulla Terra, avevano nel midollo osseo una quantità di grasso significativamente inferiore», spiega uno fra gli autori dell’articolo, Guy Trudel, ricercatore all’Università di Ottawa, in Canada, e medico specialista in medicina riabilitativa all’Ottawa Hospital. «Riteniamo che il corpo stia usando questo grasso per contribuire alla sostituzione dei globuli rossi e alla ricostruzione del tessuto osseo perso durante il viaggio nello spazio».
Oltre all’emocromo, lo studio si è avvalso infatti di risonanze magnetiche del midollo osseo, riscontrandone una diminuzione del 4,2 per cento a una distanza di circa un mese dopo il rientro sulla Terra. Diminuzione gradualmente rientrata a livelli normali e strettamente associata, appunto, a una maggiore produzione di globuli rossi e al ripristino del tessuto osseo.
«Poiché i globuli rossi vengono prodotti nel midollo osseo e le cellule del tessuto osseo circondano il midollo osseo», osserva Trudel, «è logico che l’organismo utilizzi il grasso locale del midollo osseo come fonte di energia per alimentare la produzione di globuli rossi e di tessuto osseo». La ricerca suggerisce inoltre che gli astronauti più giovani potrebbero avere una maggiore capacità di sfruttare l’energia del grasso midollare, e mostrano che il grasso midollare delle astronaute – a distanza di un anno, e rispetto a quello dei colleghi maschi – è aumentato più del previsto.
«Fortunatamente nello spazio, dove il corpo è senza peso, l’anemia non costituisce un problema, ma quando si rientra sulla Terra – e in futuro su altri pianeti, o su lune con una gravità significativa – l’anemia influisce sull’energia, sulla resistenza e sulla forza. E potrebbe mettere a rischio gli obiettivi di una missione. Se riuscissimo a scoprire esattamente cosa controlla l’anemia, potremmo essere in grado di migliorarne la prevenzione e il trattamento», conclude Trudel, che insieme al suo team non vede l’ora di approfondire alcuni aspetti emersi nello studio anche sui suoi pazienti anemici qui sulla Terra, persone che hanno perso massa muscolare e ossea a seguito di lunghi periodi di malattia e mobilità limitata. L’anemia ostacola infatti la capacità di compiere esercizio fisico e di recuperare la massa muscolare e ossea. «La nostra ricerca potrebbe contribuire a far luce anche sull’osteoporosi, la sindrome metabolica, l’invecchiamento e il cancro – tutte condizioni associate a un aumento del grasso del midollo osseo».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Bone marrow adiposity modulation after long duration spaceflight in astronauts”, di Tammy Liu, Gerd Melkus, Tim Ramsay, Adnan Sheikh, Odette Laneuville e Guy Trudel