No, non stiamo parlando della caduta degli dei, ma di frane sui vulcani di Marte, i più imponenti del Sistema solare. Il più alto dei vulcani marziani è l’Olympus Mons (Monte Olimpo, dal latino), un gigantesco vulcano a scudo individuato nel 1971 dalla sonda Mariner 9 della Nasa. Con i suoi 600 km di diametro e 21,9 km di quota, dunque circa 2,5 volte più alto del nostro Monte Everest, l’Olympus Mons di fatto è la montagna più alta del Sistema solare. La sonda spaziale Mars Express dell’Esa ha rivolto il suo “sguardo” verso questo imponente vulcano marziano, esplorandone in dettaglio i dintorni e rivelando nuovi aspetti sul suo turbolento passato.
In orbita intorno al Pianeta rosso dal 2003, la missione Mars Express sta, infatti, fotografando la superficie di Marte, mappando i suoi minerali, identificando la composizione e la circolazione della sua tenue atmosfera, sondando sotto la sua crosta ed esplorando come vari fenomeni interagiscono nell’ambiente marziano.
La Mars Express High Resolution Stereo Camera (Hrsc), sviluppata e gestita dal Dlr, l’agenzia aerospaziale tedesca, ha individuato non solo la cima dell’Olympus Mons, ma esplorato anche le zone circostanti notando una sorta di “aureola” che si estende dalla base del vulcano per centinaia di chilometri. Questa aureola, a sua volta, circonda la “scarpata basale” del vulcano, il perimetro subito intorno all’Olympus Mons notevolmente ripido e che, in alcuni punti, raggiunge i sette chilometri di altezza.
Queste nuove immagini mostrano anche, ai bordi dell’aureola, a molte centinaia di chilometri di distanza dal vulcano principale, una struttura “accartocciata” chiamata Lycus Sulci. L’aureola, che si vede particolarmente bene nell’immagine del 2004 del Mars Orbiter Laser Altimeter della Nasa e nella mappa contestuale ora realizzata da Mars Express, mostra come i fianchi inferiori dell’Olympus Mons siano catastroficamente franati diverse centinaia di milioni di anni fa.
Sembrerebbe dunque che grandi quantità di lava siano un tempo scorse lungo il vulcano, innescando frane che precipitavano fino a incontrare il basamento, in questo caso, contenente ghiaccio e acqua.
La lava incandescente avrebbe provocato così lo scioglimento e l’instabilità del ghiaccio; di conseguenza, il bordo roccioso dell’Olympus Mons si è staccato ed è parzialmente scivolato via. Il crollo si sarebbe manifestato sotto forma di enormi frane e smottamenti, che scivolando verso il basso, sarebbero poi confluiti nelle pianure circostanti.
Secondo gli scienziati, le frane allontanandosi dall’Olympus Mons e attraversando la superficie marziana, avrebbero assunto conformazioni alternate e diverse – compresse e allungate, accartocciate e separate – andando a originare le caratteristiche “rughe” visibili nelle nuove immagini di Lycus Sulci, diventato ancora più evidente nel corso del tempo, quando il vento ha attraversato la superficie marziana, erodendo il suo materiale.
Singole frane, come quelle dell’Olympus Mons, possono avere uno spessore di centinaia di metri; tuttavia, per questo enorme vulcano, che ha visto crolli multipli colossali e sovrapposti, lo spessore può raggiungere anche i due chilometri.
La sovrapposizione delle varie frane può essere vista chiaramente nell’immagine fornita da Hrsc; il terreno rugoso a destra dell’inquadratura è più antico – più lisciato dal vento – rispetto alle creste presenti alla sua sinistra, che sono scivolate lungo le pendici del vulcano più tardi nella storia di Marte e, quindi, in tempi più recenti.
Nonostante le dimensioni ultraterrene, i vulcani di Marte presentano analogie con quelli che vediamo sulla Terra: frane simili – per tipologia, se non per scala – si possono osservare, infatti, intorno alle isole vulcaniche delle Hawaii e delle Canarie, anch’esse soggette in passato a importanti fenomeni franosi.
Le misure straordinarie dell’Olympus Mons sono probabilmente dovute al fatto che, a differenza della Terra, Marte non presenta placche tettoniche: la crosta rimane fissa e l’hot spot sottostante continua a produrre lava da milioni di anni sempre nello stesso punto, portando il vulcano marziano ad una tale larghezza e altezza.
Un altro elemento che evidenzia le proporzioni davvero immense dell’Olympus Mons è visibile a destra dell’immagine: il cratere Yelwa. Sebbene sia oscurato dall’esteso Lycus Sulci, questo cratere ha un diametro di oltre otto chilometri, appena inferiore all’altezza del Monte Everest sul livello del mare. Il cratere di Yelwa si trova a oltre mille chilometri dalla vetta dell’Olympus Mons: ciò a dimostrazione dell’elevata distanza che le frane distruttive percorrono dai fianchi del vulcano prima di depositarsi.
Nel 2004, Mars Express ha rilevato che l’età di alcuni depositi di lava presente sui fianchi del mega-vulcano è di solo 2 milioni di anni, un tempo assai ridotto dal punto di vista geologico, suggerendo che la montagna possa ancora avere una qualche attività vulcanica.
Negli ultimi vent’anni, l’Hsrc della sonda spaziale europea ha rivelato molto della variegata superficie di Marte. Le sue immagini mostrano numerrsi dettagli: dalle creste e dai solchi scolpiti dal vento alle doline sui fianchi di vulcani colossali, ai crateri da impatto, alle faglie tettoniche, ai canali fluviali e alle antiche pozze di lava. La missione Mars Express è stata immensamente produttiva nel corso della sua vita, consentendo, rispetto al passato, una comprensione molto più completa e accurata del nostro vicino planetario.
Per saperne di più:
- Leggi la notizia dell’Esa “Landslides at the foot of Olympus Mons“
- Leggi su Media Inaf gli articoli “Marte mostra segni di attività geologica” e “Tuffo su Marte con l’ultimo scatto di Mars Express“