Avete presente il famoso detto popolare “prendere due piccioni con una fava”? Questa volta potrebbe adattarsi bene anche in campo astrofisico. Un team di fisici teorici del Tata Institute of Fundamental Research (Tifr) di Mumbai, dell’Indian Institute for Science di Bengaluru e dell’Università della California a Berkeley ha proposto, infatti, un nuovo metodo per impiegare la scienza e i rilevatori delle onde gravitazionali anche per sondare la materia oscura studiando gli effetti che questa ha sulle stelle di neutroni.
La materia oscura è un presupposto fondamentale per capire come è fatto l’universo – rappresentando circa l’85 per cento di tutta la massa in esso presente – e la sua esistenza è largamente accettata dalla comunità scientifica. Tuttavia, come suggerito dal nome, la natura e le proprietà della materia oscura restano ignote, soprattutto perché finora non è stato possibile, nonostante i numerosi esperimenti, rivelarla direttamente. Le evidenze che si hanno dell’esistenza della materia oscura sono tutte di tipo indiretto: finora, infatti, siamo stati in grado di rivelare solo gli effetti gravitazionali dovuti alla presenza di materia oscura sulla materia “ordinaria” circostante – ad esempio sulla curva di rotazione delle galassie. Ecco perché l’identità elementare della materia oscura e la possibilità di “svelarla” sono tra gli obiettivi primari della ricerca nei campi della cosmologia e della fisica delle particelle.
Secondo Sulagna Bhattacharya, studente laureato al Tifr, in India, e primo autore di uno studio sull’argomento pubblicato la settimana scorsa su Physical Review Letters, le particelle di materia oscura presenti in una galassia si accumulerebbero all’interno delle stelle di neutroni a causa delle loro interazioni di tipo non gravitazionale. Le particelle di materia oscura, pesanti e senza una controparte antiparticellare, formerebbero quindi un nucleo denso che collasserebbe in un minuscolo buco nero.
«Secondo questo modello, la materia oscura riuscirebbe a interagire con l’interno delle stelle di neutroni, facendone collassare il nucleo in una sorta di “mini buco nero” che, una volta formato, finirebbe con l’inghiottire tutta la stella di neutroni dalla quale è “ospitato”», spiega Paolo D’Avanzo, astrofisico non coinvolto nello studio appena pubblicato che, all’Osservatorio astronomico di Brera dell’Inaf, conduce le sue ricerche, tra le altre cose, proprio su stelle di neutroni e onde gravitazionali.
Le teorie sull’evoluzione stellare prevedono che i buchi neri si formino quando le stelle di neutroni superano circa 2,5 volte la massa del Sole, come previsto dalle equazione di Tolman-Oppenheimer-Volkoff, ma in questo caso la materia oscura porterebbe a buchi neri di piccola massa, di poco superiore a quella della stella di neutroni originaria, che tipicamente è di circa 1,4 masse solari. «Il risultato», continua D’Avanzo, «sarebbe dunque la nascita di un buco nero molto leggero, con massa decisamente inferiore a quella che una stella di neutroni può sopportare prima del suo classico collasso gravitazionale in buco nero».
Una suggestione allettante sull’esistenza di questi mini buchi neri arriva dal lavoro pionieristico di Hawking e Zeldovich degli anni ’60, secondo cui i buchi neri di piccola massa potrebbero avere avuto un’origine primordiale, cioè essere stati creati da fluttuazioni di densità estremamente rare ma di grandi dimensioni nell’universo primordiale. Buchi neri, universo primordiale da un lato e onde gravitazionali e materia oscura dall’altro: il lavoro di Bhattacharya e collaboratori affronta senza dubbio alcune questioni tra le più interessanti e complesse dell’astrofisica.
«Per parametri di materia oscura non ancora esclusi da alcun altro esperimento, i vecchi sistemi binari di stelle di neutroni nelle regioni dense della galassia», dice sottolineando l’importanza dello studio Anupam Ray, che ha co-diretto il lavoro del team di ricerca, «dovrebbero essersi evoluti in sistemi binari di buchi neri. Se non si riscontreranno fusioni anomale di oggetti con massa minima, potremo allora avere a disposizione nuovi vincoli per la ricerca sulla materia oscura». Ipotesi, però, difficile da verificare con esperimenti di laboratorio. E poi, è possibile rilevare nell’universo buchi neri di massa così piccola?
Il team di ricerca guidato da Bhattacharya suggerisce che il mistero sulla natura della materia oscura potrebbe essere svelato dai rivelatori di onde gravitazionali Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), Virgo e Kagra, ma anche dai rivelatori di ultima generazione, come Advanced Ligo, Cosmic Explorer ed Einstein Telescope. Tramite la misura e la modellizzazione del segnale gravitazionale prodotto da un sistema binario composto da due oggetti compatti – buchi neri o stelle di neutroni – in coalescenza è, infatti, possibile misurarne con precisione le masse. Secondo gli scienziati, l’eventuale rivelamento di un sistema binario di buchi neri con masse significativamente inferiori al limite delle 2,5 masse solari costituirebbe l’evidenza dell’esistenza dei buchi neri leggeri formatisi dall’interazione tra materia oscura e stelle di neutroni.
«La fattibilità di questa misura è sicuramente alla portata degli interferometri gravitazionali attuali e futuri, ad esempio dell’Einstein Telescope, come dimostrato dalle decine di eventi gravitazionali rivelati finora», osserva D’Avanzo. È interessante notare che alcuni degli eventi rilevati negli scorsi anni dall’interferometro Ligo – ad esempio Gw 190814 e Gw 190425 – sembrano in effetti riguardare almeno un oggetto compatto di piccola massa, al limite tra le masse attese per buchi neri e stelle di neutroni.
Sulla base di queste considerazioni, la collaborazione Ligo ha già intrapreso ricerche mirate di buchi neri di piccola massa e fissato i parametri limite. I vincoli presentati in questo studio hanno un valore significativo, poiché esplorano uno spazio di misure che è ben al di là della portata degli attuali rivelatori terrestri di materia oscura, come Xenon 1T, Panda e Lux-Zeplin, soprattutto per le particelle di materia oscura pesanti. In particolare, questa ricerca mostra come, grazie alle onde gravitazionali, si potrebbero sondare interazioni estremamente deboli di materia oscura pesante, ben al di sotto del cosiddetto neutrino floor, il limite nei modelli teorici al di sotto della quale la scoperta della materia oscura con esperimenti diretti è ostacolata da un fondo di neutrini impossibile da eliminare.
In altre parole, i rivelatori gravitazionali potrebbero arrivare là dove i rivelatori convenzionali di materia oscura devono confrontarsi con il disturbo di altri tipi di particelle. Considerando i continui progressi e gli sviluppi futuri previsti per gli attuali esperimenti sulle onde gravitazionali e tenendo conto della loro maggiore sensibilità e del tempo di osservazione, i ricercatori prevedono che i vincoli alla fisica della materia oscura potrebbero finalmente arrivare entro i prossimi dieci anni. «L’idea sembra promettente e sarà senza dubbio interessante attendere i risultati dell’attuale run osservativo O4 degli interferometri Ligo/Virgo/Kagra, iniziato lo scorso maggio e previsto durare più di un anno», conclude D’Avanzo.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Can LIGO Detect Nonannihilating Dark Matter?”, di Sulagna Bhattacharya, Basudeb Dasgupta, Ranjan Laha e Anupam Ray