Doveva essere la macchina perfetta per sciogliere la tensione sulla costante di Hubble. E pressoché perfetto il telescopio spaziale James Webb sta davvero dimostrando di esserlo. Ma quanto alla tensione sul valore di H0, più che allentarla rischia paradossalmente di aggravarla. Le recenti misure compiute sulle stelle cefeidi delle galassie Ngc 4258 ed Ngc 5584 sembrano infatti confermare quelle ottenute in passato con il telescopio spaziale Hubble, escludendo così l’eventualità – o la speranza – che a produrre la tensione possano essere errori sistematici sulle stime fotometriche delle cefeidi stesse.
Va detto che si tratta di un risultato pubblicato per ora solo come preprint, dunque ancora in attesa di superare una peer review. Solido comunque al punto da essere già stato rilanciato sul sito della Nasa. Altro dettaglio non irrilevante, alla guida del team che l’ha ottenuto c’è niente meno che Adam Riess, uno dei tre astrofisici premiati nel 2011 con il Nobel proprio per “la scoperta dell’espansione accelerata dell’universo a partire dall’osservazione di supernove lontane” – scoperta intimamente legata alla stima della distanza delle cefeidi.
Per capire perché questa misura sulle cefeidi sia così cruciale per la stima della costante di Hubble, conviene fare un passo indietro e ripercorrere brevemente i due metodi comunemente adottati per stimarla. Il primo è quello che per brevità possiamo chiamare cosmologico, e deriva la costante di Hubble in modo indiretto dall’integrazione nel modello Lambda-Cdm – del quale H0 è uno dei parametri derivabili, appunto – delle misure dell’anisotropia del fondo cosmico a microonde, prime fra tutte quelle ottenute dalle missioni Wmap e Planck. Il valore della costante di Hubble ottenuto con questo metodo è di 67 km/s/Mpc. Il secondo metodo – che per distinguerlo dal precedente chiameremo astrofisico – restituisce un valore irrimediabilmente più elevato: 74 km/s/Mpc. E per stimare quanto aumenti la velocità d’espansione dell’universo all’aumentare delle distanze – perché è esattamente questo che misura H0 – si affida alle osservazioni di sorgenti più o meno lontane. In particolare, ne misura la velocità d’allontanamento attraverso il redshift e la distanza attraverso la luminosità.
Quest’ultimo passaggio è ovviamente critico. Per stimare la distanza di una sorgente in base all’intensità della luce che osserviamo (ciò che gli astronomi chiamano magnitudine apparente), dobbiamo conoscere l’intensità della luce che emette, ovvero la sua magnitudine assoluta. Ecco perché gli astronomi, per misurare H0, si avvalgono di sorgenti molto particolari, dall’emissione luminosa in qualche modo nota, e dette per questo “candele standard”: prime fra tutte le variabili cefeidi, ottime candele standard per le distanze minori, e le supernove di tipo Ia, che consentono il salto alle lunghe distanze, salendo un ulteriore gradino lungo la scala delle distanze cosmiche.
Le cefeidi rappresentano dunque il primo gradino di questa scala, facendo da trait d’union fra il caro vecchio metodo della parallasse – perfetto per sorgenti molto vicine, come le cefeidi all’interno della nostra galassia – a sorgenti man mano più distanti, in particolare cefeidi di galassie più lontane che ospitino anche supernove di tipo Ia, com’è il caso di Ngc 5584. Così da porre le basi per il salto successivo, quello a supernove di tipo Ia di galassie molto più lontane. A rendere le cefeidi ottime candele standard è un fenomeno curioso che le caratterizza: oltre a essere eccezionalmente luminose, si espandono e si contraggono – come un cuore che pulsa – con una frequenza correlata alla loro luminosità assoluta. Detto altrimenti, misurandone il periodo possiamo in qualche misura risalire all’intensità della luce che emettono – proprio quel che occorre per usarle come “metro”.
Ed è esattamente ciò che è stato fatto nei decenni passati. Con qualche margine d’incertezza. Le cefeidi non risplendono in beata solitudine, ma sono spesso circondate da altre stelle, alcune molto vicine, al punto da rendere non sempre agevole distinguere con sicurezza tra la luce emessa dalla cefeide che ci interessa e quella delle altre stelle presenti nei paraggi. Il telescopio spaziale Hubble, grazie alla sua eccezionale risoluzione, ha consentito da questo punto di vista progressi notevoli, ma non uniformi lungo tutto lo spettro: se la cava benissimo sul versante “blu”, dunque alle frequenze più elevate, ma man mano che vogliamo misurare l’emissione a onde più lunghe, scendendo dunque verso l’infrarosso, ecco che anche la vista di Hubble inizia a perdere colpi e non riesce più a distinguere agevolmente i vari contributi, costringendo gli astronomi ad affidarsi sempre più alla statistica, con quel che ne consegue.
«Possiamo tenere statisticamente conto della quantità media di contaminazione, nello stesso modo in cui un medico calcola il peso d’una persona sottraendo dalla lettura della bilancia il peso medio dei vestiti, ma questo aggiunge rumore alle misure: i vestiti di alcune persone sono più pesanti di quelli di altre», osserva infatti Riess. «Ma proprio la visione nitida nell’infrarosso è uno dei “superpoteri” del James Webb Space Telescope. Grazie al suo grande specchio e alle sue ottiche sensibili, è in grado di separare senza difficoltà la luce delle cefeidi da quella delle stelle vicine».
Ecco dunque che Riess e colleghi hanno chiesto – e ottenuto – di poter misurare con Webb la luce di oltre 320 cefeidi, già osservate con Hubble, ospitate in una galassia relativamente vicina, Ngc 4258, e in una più lontana contenente anche supernove recenti, Ngc 5584. Risultato: il peso del paziente “nudo”, misurato con Webb, è risultato essere pressoché identico a quello calcolato da Hubble pesando il paziente “vestito” e sottraendo il peso stimato degli “abiti”.
«Confermando le misure di Hubble, le misure di Webb forniscono la prova più forte del fatto che gli errori sistematici nella fotometria delle cefeidi misurata con Hubble non giocano un ruolo significativo nell’attuale tensione sulla costante di Hubble», conclude Riess. «Di conseguenza, le possibilità più interessanti rimangono sul tavolo e il mistero della tensione si infittisce».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “Crowded No More: The Accuracy of the Hubble Constant Tested with High Resolution Observations of Cepheids by JWST”, di Adam G. Riess, Gagandeep S. Anand, Wenlong Yuan, Stefano Casertano, Andrew Dolphin, Lucas M. Macri, Louise Breuval, Dan Scolnic, Marshall Perrin e Richard I. Anderson
Guarda su MediaInaf Tv il video con Adam Riess sulla tensione di Hubble: